“Quello della violenza sulle donne è un tema sul quale è necessario fare un ragionamento e penso che il tuo giornale sia tra i pochi che possano ospitarlo senza inseguire la polemica spicciola, che ne farebbe terreno di piccolo potere per le lobbies”. A dirlo è Francesca Menna, assessore alle pari opportunità del Comune di Napoli. Con un tale preambolo, non si può che essere assolutamente disponibili.
Allora inizia il tuo ragionamento, assessore Menna.
Nelle ultime settimane a Napoli ci sono stati due femminicidi uno dietro l’altro. E’ il momento di un approfondimento trasversale e condiviso. Invece noto un approccio che rischia di trasformare l’emergenza della violenza di genere in un fenomeno di costume. Laddove tutti noi dovremmo piuttosto interrogarci in maniera più profonda, partendo da un’analisi anche personale delle relazioni. Nonostante ci sia grande attenzione da parte dei cittadini e delle istituzioni, nei fatti questa attenzione non si traduce in una presa di coscienza reale. Sembra più un atteggiamento estetico e non ci si chiede quanti finanziamenti vengano realmente dati alle pari opportunità. Quasi si desse più importanza alle cose che alle persone, alle infrastrutture piuttosto che agli strumenti per affrontare in maniera sistemica questa emergenza.
E quali sarebbero gli strumenti necessari?
Da un lato, è indispensabile una rete di sostegno sociale e, dall’altro, un lavoro profondissimo di tipo psicologico relazionale. Bisogna lavorare sulle famiglie, sui rapporti personali che non funzionano. Le Istituzioni devono interessarsi all’equilibrio e alla salute delle persone. Occorrono risorse adeguate.
Esiste una progettualità comunale che richiede finanziamenti specifici?
Ho avuto un bell’incontro con la delegata alle pari opportunità della Regione Campania, Rosa D’Amelio, con la quale abbiamo ragionato in un’ottica sinergica affrontando proprio la questione della carenza di finanziamenti. Basti pensare che per i centri antiviolenza il Comune ha ottenuto 62.204 euro, di cui effettivamente versati 38.204. Come dire 50 centesimi. Per non parlare delle case di accoglienza, per le quali il precedente finanziamento PON è terminato. Stiamo facendo i salti mortali per recuperare fondi dal bilancio comunale, che è un polmone asfittico, e mi è stato assicurato che sarà fatto il possibile. Abbiamo già avuto 50mila euro, che non è niente, ma solo a fine mese saprò se otterremo gli altri 150.000 richiesti. Esiste poi, forse, la possibilità di ottenere fondi regionali o statali.
E la D’Amelio cosa ti ha detto?
Mi ha consigliato delle strategie sulle quali lavorare insieme. Il Comune, infatti, ha fondi bloccati dal Ministero a causa di inghippi burocratici. Sono in attesa di un incontro con la nuova Ministra, perché senza questi fondi non abbiamo più risorse per le case di accoglienza ed altri progetti. Siamo in un momento di emergenza e bisognerebbe intervenire. Invece si fanno grandi riunioni, tutti si mettono il fiocco rosso, molti ci fanno la campagna elettorale ma poi alla fine quattro spiccioli erano e quattro spiccioli rimangono.
Se tu avessi tutti i soldi che chiedi cosa faresti, assessore Menna?
Cominceremmo a lavorare sulla prevenzione, quindi nelle scuole e nelle famiglie. Cominceremmo a svolgere un’azione di conoscenza profonda del fenomeno, per analizzarne tutti gli aspetti. Dopo di che, oltre a trattare i singoli casi come reati, li affronteremmo anche come espressione di una sofferenza profonda delle persone.
Ma l’esperienza di questa Amministrazione comunale si è ormai conclusa.
Certo, però è un discorso etico. Chiunque verrà dopo di me dovrà gestire problematiche che riguardano le persone. Quindi se io costruisco una progettualità che consenta di avere più centri antiviolenza in città, distribuiti nei territori in maniera capillare, avrò posto le premesse per migliorare la vita ai cittadini ed avrò fatto il mio dovere.
Il tuo sembra un appello al nuovo Governo, Menna.
Si, Draghi ha parlato di risorse del Recovery Plan per le pari opportunità. Sarebbe necessario darle direttamente agli Enti locali. Perché sono gli enti di prossimità a conoscere i cittadini, a conoscere i luoghi e le dinamiche sulle quali intervenire: case di accoglienza, centri antiviolenza, telefoni rosa. Questi devono essere gestiti da psicoterapeuti esperti di relazioni di violenza, la prima telefonata è quella che ti aggancia. Quante telefonate vengono fatte e quante donne poi arrivano a denunciare? Le università andrebbero coinvolte per formare gli operatori e tutti gli addetti alla filiera che si occupa della violenza di genere. Siamo di fronte ad un’emergenza che ha evidenziato non poche carenze: vanno affrontate e colmate.