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Verso le elezioni europee: la sfida di Mario Draghi

by Pietro Spirito
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Sono ormai prossime le elezioni per il Parlamento Europeo: si svolgeranno, tenendo presenti i diversi calendari nazionali, tra il 6 ed il 9 giugno. I partiti si apprestano in questi giorni a presentare le liste dei candidati, alle urne saranno chiamati più di 400 milioni di elettori.

Si tratta di un appuntamento molto importante, perché molte materie sono ormai regolate dalle istituzioni comunitarie, e lo stesso Parlamento Europeo ha progressivamente acquisito un ruolo più rilevante per la definizione degli indirizzi strategici e normativi dell’Europa. Anche sotto il profilo più strettamente connesso agli equilibri politici tra le famiglie politiche del nostro continente, questa consultazione elettorale svolgerà un ruolo rilevante, destinato a riverberarsi sugli equilibri dei nostri. Paesi.

Mentre aspetteremo qualche settimana per conoscere la composizione del Parlamento Europeo e delle possibili maggioranze che emergeranno dalla espressione del voto popolare, è già iniziata la discussione sulla principale carica non elettiva che dovrà essere designata a valle delle elezioni, vale a dire il o la Presidente della Commissione Europea, il vertice dell’esecutivo che predispone le proposte poi esaminate dal Parlamento e dal Consiglio Europeo.

Dal 2014, e con progressiva maggiore forza, è emersa la figura dello Spitzenkandidat, parola tedesca che significa “candidato-guida”. Nel gergo europeo sono quei candidati che i partiti europei indicano agli elettori come loro prima scelta, nel caso escano vincitori dalle elezioni europee, come presidente della Commissione europea. Si tratta di una innovazione piuttosto recente, che nasce sulla scia degli accresciuti poteri che il Parlamento europeo si è visto attribuire dal Trattato di Lisbona firmato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009 e che gli eurodeputati, rappresentanti dei cittadini ma anche dei partiti nell’Eurocamera, hanno voluto interpretare nella maggior ampiezza possibile, volentieri seguiti dai partiti.

Da parte dei partiti c’era anche la volontà di tentare un “avvicinamento” agli elettori, che hanno sempre visto la Commissione come un organo lontano, composto da persone per lo più sconosciute nei singoli Paesi, che ha però ampi poteri di incidere sulla vita di tutti noi. Indicare una persona vuol dire anche presentarla agli elettori, fare in modo che possano conoscerla prima che assuma un incarico tanto importante. E’ anche un modo, per i partiti europei, di indicare preventivamente chi loro vorrebbero ed evitare che, magari anche al loro interno, venga scelta una persona diversa.

Dal punto di vista istituzionale, sulla base delle regole comunitarie, non sono i partiti a indicare formalmente il presidente della Commissione, e neanche il Parlamento. In base al Trattato di Lisbona questo potere spetta ai governi, riuniti nel Consiglio europeo, che scelgono la persona che dovrà guidare la Commissione e la propongono al Parlamento il quale, però, ha il potere di approvare o meno la scelta.

E’ in sostanza un potere condiviso, uno sceglie e l’altro approva, per cui di fatto c’è un possibile “corto circuito” che la scelta di introdurre lo Spitzenkandidat potrebbe aiutare a risolvere. Ma solo sul piano strettamente politico, perché su quello legale l’indicazione da parte dei partiti prima delle elezioni non ha alcun valore, e la gran parte delle cancellerie non riconosce come vincolante il sistema dello Spitzenkandidat.

Comunque nessun partito (o meglio, gruppo parlamentare), alle condizioni attuali, potrà avere da solo la forza di scegliere il presidente della Commissione, che è sempre frutto di un accordo tra varie forze politiche, che dialogano con i loro governi. Dopo le elezioni del 2014, che come sempre e come anche sarà nel 2019 precedono di sei mesi il rinnovo della Commissione, si chiarì che Jean-Claude Juncker, il candidato del partito che ebbe la maggioranza relativa dopo il voto popolare, il Ppe, sarebbe stato il primo “a provare” a trovare una maggioranza, e nel caso avesse fallito la palla sarebbe stata nelle mani del candidato del secondo partito, il Pse. Di fatto Juncker andò bene anche ai governi, in maggioranza a guida Ppe nel 2014, e trovò facilmente una coalizione che lo sostenne anche in Parlamento.

Nel 2019 la questione è stata molto più complessa, perché la tradizionale maggioranza istituzionale tra Ppe, Pse e liberali non era affatto certa di avere la forza di imporre un proprio candidato. Il candidato dei popolari del Ppe, usciti prima forza politica in Parlamento, era Manfred Weber. La maggioranza formatasi ha poi trovato un accordo sul nome di Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione

Per completezza indichiamo di seguito le scelte sugli SpitzKandidaten che sono state effettuate dai principali raggruppamenti politici che saranno presenti nel Parlamento Europeo.

Il primo gruppo a tenere il Congresso è stato il Partito Verde Europeo (2-4 febbraio a Lione). Per il gruppo, gli Spitzenkandidaten saranno due: la tedesca Terry Reintke e l’olandese Bas Eickhout. Reintke, 36 anni, è già Copresidente del gruppo Verdi/ALE al Parlamento europeo insieme a Philippe Lamberts, mentre il quarantasettenne Eickhout è Vicepresidente del gruppo e della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare al Parlamento europeo, di cui è membro dal 2009.

I secondi arrivati sono i rappresentanti del Partito della Sinistra Europea, che hanno tenuto il loro Congresso a Lubiana, tra il 23 e il 24 febbraio. La scelta è ricaduta sull’austriaco Walter Baier. Baier, 70 anni, proveniente dal Partito comunista austriaco, è Presidente del gruppo dal dicembre 2022 ma fino ad allora aveva poca esperienza nella politica europea.

Il 2 marzo, a Roma, si è poi tenuto il Congresso del Partito Socialista Europeo, dove è stato presentato un unico nome, già scelto in precedenza come candidato comune: Nicolas Schmit. Politico lussemburghese di lungo corso, Schmit ha iniziato la sua carriera come addetto all’ufficio del Primo Ministro in Lussemburgo. Nel 2004 è stato nominato Ministro delegato per gli affari esteri e l’immigrazione, poi del lavoro. Dal 2019 è Commissario europeo per il lavoro, succedendo proprio a Ursula von der Leyen. Se ne attendono ora le dimissioni per concentrarsi sulla campagna elettorale.

Senz’altro il Congresso più atteso quello dell’EPP, essendo il gruppo di maggioranza uscente. Si è tenuto tra il 6 e il 7 marzo a Bucarest. Il gruppo ha confermato la candidatura per il secondo mandato di Ursula von der Leyen, con l’82% dei voti. Queste elezioni, in realtà, saranno le prime nelle quali la VDL correrà come Spitzenkandidat. Nel 2019 il candidato di testa dell’EPP era Manfred Weber, il nome dell’attuale Presidente era emerso solo successivamente, in seguito alle trattative interne al Parlamento europeo. Il gruppo non è arrivato compatto alla nomina di von der Leyen, che ha subito critiche dal partito francese “Les republicains”, che l’ha accusata di rappresentare la “deriva tecnocratica” dell’Unione europea, e da alcuni rappresentanti sloveni.

Renew Europe, il gruppo di centro del Parlamento europeo, ha deciso di optare per una campagna elettorale divisa tra le tre famiglie politiche (il Partito Democratico Europeo, il Partito dell’Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa e i francesi di Renaissance), ma sotto l’unico cappello della piattaforma Renew Europe Now. Ogni gruppo ha già scelto il suo Spitzen. Per Renaissance, il 1° marzo è stata annunciata la francese Valerie Hayer, già Capogruppo di Renew al PE. Hayer, all’interno del Parlamento, è coordinatrice per Renew della Commissione per i bilanci. Per il PDE, l’8 marzo è stato scelto Sandro Gozi, Segretario Generale del gruppo. L’ALDE ha tenuto il suo Congresso a Bruxelles tra il 20 e il 21 marzo, la nomina è andata alla tedesca Marie-Agnes Strack-Zimmermann. Esperta di difesa, è una forte sostenitrice dell’aiuto militare a Kyiv. Un portavoce di Renew ha dichiarato che potrebbe essere proprio Strack-Zimmermann a essere scelta come candidata principale dei tre, e che probabilmente rappresenterà Renew Europe nei dibattiti elettorali e guiderà la lotta nei comizi elettorali.

Le elezioni determineranno i nuovi pesi politici all’interno dell’emiciclo. Gli scenari possibili sono vari. La prima possibilità è che Ursula von der Leyen cerchi di nuovo l’appoggio della “Maggioranza Ursula”, ossia con i partiti EPP, S&D, Renew e Greens.

Si tratta della maggioranza uscente, ma non è detto che gli altri partiti accettino facilmente di appoggiare la Spitzenkandidat senza trattare. Un’altra opzione è quella della große Koalition, una coalizione molto ampia che vada da S&D a ECR, con von der Leyen Presidente. Un terzo scenario vede una situazione molto simile a quello del 2019; in questo caso, anche per queste elezioni verrebbe meno il sistema degli Spitzenkandidaten, ma potrebbe risultare essenziale per mantenere la maggioranza precedente. Sicuramente, sarà essenziale rifarsi ai risultati del voto per capire come potranno evolvere le alleanze tra gruppi.

In questo scenario, comincia ad emergere la candidatura di Mario Draghi, incaricato dalla Commissione Europea di redigere un rapporto sul futuro della competitività europea. Il presupposto di Draghi è che l’Ue è pensata e organizzata sulla base di un mondo che è cambiato e dunque serve urgentemente un cambiamento “radicale” anche nell’Unione. “La nostra organizzazione, il nostro processo decisionale e il finanziamento sono pensati per il mondo di ieri, pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, pre-ritorno della rivalità tra grandi potenze. Ci serve un’Unione europea che sia all’altezza del mondo di oggi e di domani. Quindi ciò che propongo nel rapporto che la presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale. Che è ciò che è necessario”.

“Dobbiamo raggiungere una trasformazione dell’economia europea, dobbiamo essere in grado di fare affidabile su un sistema energetico decarbonizzato affidabile, una difesa integrata europea, una produzione domestica nei settori più innovativi e una posizione leader nella produzione tecnologica”.

Insomma la sfida di Mario Draghi, l’uomo del whatever it takes quando, da presidente della Banca Centrale, fronteggiò con successo i mercati finanziari che tentarono di aggredire l’euro, consiste nell’attualizzare una strategia comunitaria per restituire competitività all’Europa in uno scenario geopolitico completamente cambiato rispetto al disegno originario delle istituzioni europee.

Le previsioni sul voto dei cittadini comunitari indicano come possibile la mancanza di una maggioranza politica coesa nel Parlamento Europeo. Potrebbe ripetersi lo stallo che si creò dopo le elezioni del 2019. E allora la figura di Mario Draghi potrebbe essere una delle soluzioni possibili.

Ma non bisogna dare nulla per scontato. La palla passerà innanzitutto al Consiglio Europeo e la posizione del governo italiano sarà a quel punto rilevante. I segnali dell’attuale maggioranza verso Mario Draghi, soprattutto da parte di Matteo Salvini, non sono di entusiastico appoggio. I tedeschi non sarebbero certamente contenti di cedere una poltrona di primario rilievo nello scacchiere comunitario, e sarebbe necessario un lavoro di coesione molto forte da parte dell’esecutivo italiano e di altre forze presenti nel Parlamento Europeo.