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Verso il voto europeo

by Bruno Gravagnuolo
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La Corte Costituzionale tedesca ha bloccato nei giorni scorsi l’uso di fondi residui dal Covid in favore di ambiente e Ucraina. Motivo: la costituzione tedesca non consente di andare a debito e quei 60 miliardi avrebbero appunto costituito debito. Già in passato la Corte di Carlsruhe aveva statuito che la legislazione nazionale è sovraordinata a quella comunitaria. Bene, se le cose stanno così – ne parlava Giavazzi sul Corsera del 27 novembre – vuol dire che l’Ue Stato non potrà mai esistere. Per i tedeschi stessi, sovranisti europeisti! E inoltre. Mettiamo che si tramuti il ruolo del Parlamento Europeo in vero organo legiferante a maggioranza, Germania e Francia avrebbero più deputati e insieme ai piccoli alleati potrebbero sempre imporre la loro volontà. Bloccando in nome dell’Ue tutto ciò che collide con le loro costituzioni. E interessi. Dunque o cambiano le Costituzioni oppure la rappresentanza va tarata in modo ineguale proprio per assicurare pari dignità su tutto. Non sono problemini. Perché mai l’Ue dovrebbe restare inchiodata al Grundgesetz tedesco?

Il tema emergeva fin dal famoso manifesto di Ventotene del 1944: repubblica confederale kantiana oppure leviatano tecno-liberale? Spinelli pensava ad un socialismo europeo con banche, infrastrutture e grandi imprese monopolistiche statizzate, ma era una illusione. Così come resta illusione pensare che in uno spazio liberista e rigorista possano venir rispettate le specificità nazionali e culturali. E così anche per i diversi livelli di sviluppo dei singoli paesi, come voleva proprio Spinelli.

Dunque? Dunque lo Stato nazione resta ed è giusto che resti, sebbene in una prospettiva non nazionalista e sovranista. Anche perché è un intermediario tra euro burocrazie e società civili nazionali. Forse la risposta sta in veri partiti europei. Ma non più che confederati. Altrimenti si piomba in un populismo europeo, fatto di leaderismo e lobbies, ancora peggiore di quel che vediamo nei singoli paesi. Temi su cui non ho risposte, ma domande sì. Chiare e nette.

E poi ecco alcune considerazioni storiografiche che sembrano rendere ancora più tortuosa la via degli Stati Uniti d’Europa. Ogni processo federale avviene per egemonia di un fattore trainante. Valga l’esempio del federalismo americano, nato nel 1776 attorno a 13 colonie anglofone e bianche protestanti. Attorno ad esse via via si costituì la nazione melting pot USA, con i wasp (white anglo-saxon protestant) come magnete attorno ai quali si agglutinarono via via le altre minoranze assimilate o cooptate.

Lo stesso dicasi per la Russia, unificata contro i tartari dal granducato della Moscova e dagli Zar Romanov. E i Russi bianchi, anche con l’ottobre 1917, restarono l’elemento dominante che perpetuò lo zarismo in forme collettiviste e burocratiche ideocratiche. Ancora oggi, nella sintesi zarista e oligarchica di Putin, i Russi bianchi che trasmigrarono ad est del Dnjepr permangono come l’elemento federatore del complesso multi etnico russo nazionale.

Venendo poi all’Italia, non fu il Piemonte a unire l’Italia con le borghesie del Lombardo Veneto, imponendo le sue leggi e le sue compatibilità liberali anche ai danni di una economia – quella delle Due Sicilie- il cui pil era pari fino al 1860 a quello del resto d’Italia?

Infine la stessa Germania vide la Prussia degli Hohenzollern al centro dello Zollverein e dell’unificazione tedesca.

Tornando all’Europa, nano politico e gigante economico, benché ammaccato dopo il conflitto con la Russia, quale fin qui il magnete della Ue? Due: Germania e Francia. Con uno spiccato ruolo della prima, addirittura travolgente dopo il crollo del muro nel 1989 che impose alla Germania dell’Est un ruolo di minorità assistita e all’Europa tutta la dottrina rigorista anti inflazione a tutti i costi. Oggi poi, con la recessione, la pandemia e la guerra, con conseguente rialzo del costi energetici, la divaricazione di interessi dentro i futuribili Stati Uniti d’Europa è destinata a riesplodere. Sia in rapporto alla linea rigorista della Bce dopo Draghi, sia in relazione alla resistenza dei Paesi sovranisti dell’Est dall’energia all’immigrazione. Per non parlare dei valori dello stato di diritto, colà fortemente in discussione.

In conclusione sarà impervio per l’Europa allargata accettare l’egemonia franco tedesca di nuovo, e meno che mai quella della sola Germania. Ma senza un elemento trainante egemonico nessun processo federativo sarà mai possibile. Lo vedremo sia in sede di discussione delle regole al Parlamento Ue per assumere decisioni vincolanti, sia alle prossime elezioni, dove il paradosso dei sovranismi alleati e in conflitto minaccia di spaccare le basi stesse del sogno europeo, fin qui in marcia sull’asse tra popolari e socialisti.

Ci sarebbe però una via d’uscita che potrebbe allentare questo insieme di tensioni esaltato dal conflitto in Ucraina. E cioè che l’Ue assuma un ruolo più deciso e coeso nel secondare ad Est un compromesso territoriale. Conquistandosi così sul campo un ruolo mediativo tra aree geopolitiche. Anche per non restare esclusa dalla nuova geoeconomia che vede tre quarti del mondo contestare l’egemonia del dollaro. Ma questo è tutto un altro discorso, ad affrontare il quale non è certo idonea né l’Ue tedesca virtuosa, con i suoi alleati olandesi e scandinavi, né quella franco tedesca o neo latina. Ci vorrebbe un’Europa alla Brandt e alla Olof Palme, tra Est e Ovest e Nord e Sud. Un’Europa democratica e sociale. Non di blocco di civiltà, della quale peraltro si è perso il ricordo. Purtroppo.