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Uno sguardo dentro gli Stati europei dopo le elezioni

by Alessandro Bianchi
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Per capire quale sarà il quadro del Parlamento europeo e degli altri organismi comunitari, compreso il Presidente della Commissione, è bene aspettare ancora un po’, anche se sulla carta la cosiddetta “maggioranza Ursula” sembra aver tenuto.

Quello che si può fare con una certa attendibilità fin d’ora è un commento agli esiti registrati nei diversi Stati, anche per quanto riguarda le ripercussioni interne.

Il dato più eclatante è certamente quello della Francia.

Il partito di riferimento del Presidente Macron – Renaissance (15,0%) – è stato doppiato dal Rassemblement National (31,5%).

Il dato si presta a due considerazioni. La prima è che con la presidenza del giovanissimo Jordan Bardella RN ha cercato di aggiustare il tiro rispetto alla politica ultrapopulista, razzista e familistica tenuta fin dall’inizio dai Le Pen, padre e figlia. Probabilmente questo fatto può aver favorito una crescita del consenso che va oltre quello generato dal malcontento dei ceti emarginati e meno abbienti.

La seconda considerazione è che parliamo di una Repubblica presidenziale, in cui il centro delle decisioni è il Presidente eletto a suffragio universale e Macron l’ha dimostrato con la scelta, fin troppo repentina, di indire nuove elezioni per il rinnovo del Parlamento. E’ una sfida molto forte ma anche molto rischiosa: se riuscirà a vincerla Macron avrà evitato le ripercussioni interne del successo di RN e si sarà assicurato la governabilità fino al 2027, anno delle elezioni presidenziali. In caso contrario gli scenari possibili sono molteplici, sicuramente tutti inquietanti.

L’altro dato rilevante è quello della Germania.

L’alleanza CDU-CSU (30,0%) ha ottenuto la maggioranza relativa, ma a livello nazionale i due partiti sono divisi. Dal canto suo l’SpD (13,9%), il partito di Scholz che è al governo, ha perso due punti percentuali e anche i Verdi (11,9%) hanno subito un netto calo, mentre la destra oltranzista e xenofoba AFD (15,9%) ha ottenuto un notevole successo.

Il dato non è del tutto sorprendente, perché è piuttosto evidente che dopo la fuoriuscita della Merkel la CDU ha perso molto del suo appeal e che Scholz non gode di grande considerazione il che ha trascinato verso il basso l’SpD.

Tuttavia, conoscendo la mentalità dei tedeschi, credo che troveranno una soluzione per tenere in piedi il Governo, ma si dovranno comunque porre due problemi: contenere in modo più deciso la posizione eversiva di AFD prima che il consenso aumenti ancora e trovare al più presto un nuovo leader per l’SpD.

Peraltro dagli esiti elettorali di Francia e Germania emerge con evidenza un grande dubbio circa la possibilità che questi due Paesi possano mantenere il ruolo-guida della UE che hanno esercitato fin dalla nascita. Ma per dire una sola parola di più su questo punto è bene attendere l’esito delle imminenti elezioni francesi (30 giugno-7 luglio), che saranno un vero e proprio spartiacque.

In Spagna l’esito è stato di segno diverso.

Il Partito Popolare ha aumentato i voti (34,2%) – anche per effetto della scomparsa di Ciudadanos – ma il PSOE ha mantenuto la posizione (30,2%) per cui è probabile che il Governo Sanchez rimarrà in carica senza eccessivi problemi.

La sinistra non ha mancato di confermare la tendenza al frazionismo e alla conseguente sconfitta: SUMAR (4,7%), JUNTS-UE (2,6%) e PODEMOS (3,3%) saranno irrilevanti. Il cartello dei nazionalisti-indipendentisti di ogni genere – Ahora Républicas (4,9%) – è destinato a rimanere marginale.

Il dato inquietante sono i voti ottenuti da VOX (9,6%) a cui si affiancano quelli del SALF (4,58%), che segnalano il permanere di una componente di destra post-franchista e di una iperpopulista, con cui c’è da augurarsi venga reciso da subito ogni legame.

In linea generale, considerando quanto detto a proposito dell’asse Francia-Germania, ritengo sia ipotizzabile che la Spagna di Sanchez possa svolgere nell’ambito della UE un ruolo più autorevole di quello finora tenuto.

L’esito del voto in Grecia non è facilmente interpretabile, anche per il livello di astensione altissimo, oltre il 60%.

Il partito al governo – Nuova Democrazia (28,3%) – ha subito una perdita di 14 punti rispetto alle elezioni nazionali, ma i risultati delle altre forze in campo non preludono a cambiamenti. I risultati di Syriza (14,7%) e del Pasok (12,9%) potrebbero far pensare alla possibilità di formare un fronte interno progressista ma, anche in questo caso, bisognerà tener conto della tendenza al suicidio tipica della sinistra.

Notevole è il risultato di Soluzione Grecia (9,3%) un partito di destra estrema che sarà necessario contenere e isolare.

Un esito inaspettato e in controtendenza rispetto alle previsioni si è avuto nei Paesi del Nord-Europa: Svezia, Finlandia e Danimarca. In tutti e tre i casi i partiti di sinistra, i socialdemocratici e i verdi hanno fatto registrare incrementi dal +2,0 al +4,0%, mentre all’opposto le destre, più o meno oltranziste, hanno subito arretramenti dal -2,0% fino al -6,0%. Un esito che fa sperare in un ritrovato senso democratico e civico in Paesi che da questo punto di vista per molto tempo sono stati considerati esemplari.

Ma nella vicina Olanda la situazione è del tutto diversa. Il voto europeo ha portato al primo posto Sinistra-Verde (21,6%) seguito dalla destra estremista del Partito della Libertà (17,7%), dai liberal-conservatori di Libertà e Democrazia (11,6%) e da Appello Cristiano Democratico (9,7%). Ma già sei mesi fa si erano svolte le elezioni nazionali e proprio in queste ore il leader del Pvv Gert Wilders ha annunciato l’accordo per la formazione del nuovo governo che sarà il più conservatore, estremista e populista di tutta l’Europa.

Nel resto dell’Europa continentale il panorama emerso dal voto europeo è composito e sta già portando ricadute negli equilibri nazionali di alcuni Paesi.

In Polonia il partito del liberale Tusk – Ko (37,1%) – ha superato i sovranisti del Pis (36,2) ma la destra estrema ha fatto registrare un aumento notevole 17,1%.

In Slovacchia il partito del premier Fico – SMER (24,7%) – è stato superato dal Partito Progressista (27,8%), ma anche qui l’ultradestra – Republica (13,0%) – segna una significativa presenza.

In Ungheria Fidesz (44,8%) del discusso Presidente Orban si è confermato come primo partito ma subendo un netto arretramento (-7,8%) rispetto all’esito del 2019, mentre un rilevante risultato ha conseguito il partito TISZA (30,0%) fondato da un ex collaboratore di Orban.

In Bulgaria si è votato anche per il parlamento nazionale e, in entrambi i casi, il primo partito è risultato il partito conservatore Gerb (22,9% alle europee; 26,2% alle nazionali) di Bojko Borisov, che ha sopravanzato la coalizione PpDb (15,3% alle europee, 15,1% alle nazionali) di Nikolaj Denkov. La formazione del nuovo governo è in corso.

Nel minuscolo ma ricco Lussemburgo ha prevalso il Partito Popolare Cristiano (22,9%), sopravanzando il Partito Operaio Socialista (21,7%) e il Partito Riformista Democratico (18,3%).

In Belgio l’esito elettorale ha già portato alle dimissioni del Primo Ministro De Croo, il cui partito – Liberale e Democratici Fiamminghi (8,3%) – ha subito una netta sconfitta. I separatisti fiamminghi sono risultati la prima forza (17,0%) ma si è verificato un avanzamento generalizzato della destra: Vlaams Belang (14,5%) e Nuova Alleanza Fiamminga (14,0%) nella regione fiamminga e il Movimento Riformatore (12,6%) in Vallonia.

In Austria si è verificata una netta avanzata dell’estrema destra con il Partito della Libertà Austriaco (25,4%) che ha sopravanzato il Partito Popolare Austriaco (24,5%) del primo Ministro Nehammer, il Partito Socialdemocratico (23,2%) e i Verdi (11,1%).

In Irlanda i risultati ufficiali non sono ancora noti, ma i partiti al governo – Fine Gael, Fianna Fail e Verdi – ritengono di aver ottenuto un ottimo, quanto inaspettato risultato e, quindi, stanno valutando l’opportunità di indire elezioni anticipate.

Infine, una disamina particolare per quanto riguarda l’Italia.

L’esito elettorale ha introdotto una prima novità di rilievo con l’inatteso risultato positivo ottenuto dal PD (24,5%), che avrà il duplice effetto di consolidare la posizione di partito di riferimento dell’opposizione e di blindare la leadership della Schlein, sicuramente destinata a lasciare in caso di esito negativo. Sul versante dell’opposizione un buon risultato ottiene anche AVS (6,8%), mentre per l’M5S (10,5%) si conferma un declino dovuto alla completa perdita di identità di quel partito. Al di sotto dello sbarramento sono rimasti Azione (3,7%) e Stati Uniti d’Europa (3,8%), come inevitabile conseguenza dell’egocentrismo del duo Calenda-Renzi.

Ma è sul fronte delle destre che l’esito del voto pone problemi notevoli sia sul versante interno che su quello europeo.

FdI (28,9%) ha consolidato la sua posizione di maggioranza relativa e anche il suo principale alleato FI (9,5%) ha ottenuto un buon risultato, ma entrambi dovranno tenere conto delle posizioni estremiste espresse dall’inguardabile duo Salvini-Vannacci che, oltre a causare un risultato disastroso (8,5%), ha ridotto la Lega alla impresentabilità politica.

Il punto di caduta è questo e riguarda soprattutto la Presidente del Consiglio che finora in Europa ha tenuto una posizione che definire ambigua è eufemistico. Alla consonanza ribadita in più occasioni con la von der Layen hanno fatto da contrappunto i ripetuti contatti con la destra estrema di VOX, con Marine Le Pen e con un inquietante leader come Orban.

Come già detto l’alleanza composta da Ppe, S&D e Renew, la cosiddetta maggioranza Ursula, ha un margine di seggi (402) tale da rendere del tutto credibile la conferma, ma è un’alleanza che ha già dichiarato in più occasioni che i futuri alleati dovranno essere “europeisti, pro-Kiev e a favore dello stato di diritto”. Dunque le destre nazionaliste e sovraniste dovranno starne fuori, e questo deve valere non solo per AFD e per ID-Identità e Democrazia in cui milita la Lega, ma anche per l’ECR-Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, di cui la Meloni è Presidente. E’ bene ricordare che di questa formazione fanno parte, tra gli altri: il Movimento Nazionale Bulgaro, i Sovranisti Croati, l’Alleanza Nazionale Lettone, l’Azione Elettorale dei Polacchi in Lituania, e ne sono partner, tra gli altri, il Partito Repubblicano di Albania, il Likud israeliano e il Fronte Popolare Bielorusso. Insomma un rassemblement della peggiore destra estrema, euroscettica e sovranista.

Allora la domanda è: che farà la Meloni al momento di stringere le alleanze necessarie per eleggere il nuovo Presidente della Commissione? Certamente farà di tutto per stare in maggioranza ma senza rinnegare i suoi inguardabili alleati.

Ed è su questo punto che si misurerà non solo la levatura politica ma la stessa dignità del Parlamento d’Europa appena eletto.