Le presidenziali USA si tengono sempre il primo martedì di novembre. Si decise di far votare di martedì per permettere ai praticanti religiosi di recarsi al luogo di culto, per poi viaggiare (i seggi elettorali erano decine di km l’uno dall’altro) nei luoghi preposti alle votazioni. Poi ci sono i cosiddetti absentee ballots (voti per corrispondenza e i voti dei militari delle basi USA in giro per il mondo). Elezioni presidenziali infuocate, come sono descritte dai main stream media. La titolazione non è affatto inesatta. 82 anni l’attuale Presidente Joe Biden, 78 anni lo sfidante ed ex Presidente Donald J. Trump. Troppo presto per delineare un risultato elettorale. Sei mesi dalle elezioni di novembre sono tanti. Gli scenari internazionali da brividi, gli attriti interni tra i due schieramenti di votanti al limite del faccia a faccia. Inoltre, come accaduto già durante le elezioni del 2016, eventi o dichiarazioni esplosive degli ultimi giorni preelettorali rischiano di capovolgere il risultato elettorale. Esempio: le dichiarazioni di Comey, ex capo FBI, contro la candidata Hillary Clinton ribaltarono un risultato che sembrava acquisito a favore di Donald Trump. Dunque nessun pronostico azzardato, ma una visione dei programmi e dell’America che i due candidati vogliono consegnare agli elettori. Due Americhe: quella isolazionista e suprematista di Trump e quella che ricalca le policies di Franklin Delano Roosevelt.
Trump nei discorsi incendiari tenuti davanti ai suoi elettori ha chiaramente detto che in caso di vittoria sgancerà gli Stati Uniti dalla NATO. Attuerà una politica anti-emigrazione draconiana, arrivando a definire i nuovi immigrati parassiti e bestie. Espulsione di comunisti e antiamericani. Per non tralasciare la cessazione del conflitto tra Russia e Ucraina e il totale appoggio politico e militare a Israele.
Biden, nei primi quattro anni del suo mandato elettorale, ha cercato di ricostruire un tessuto economico e sociale lacerato e duramente colpito dalla globalizzazione, iniziata durante la presidenza Clinton. Sul versante NATO non si è sbilanciato, ma gli interessi americani militari e geopolitici in Europa rimangono ancora strategici per un totale abbandono della NATO, che equivarrebbe secondo alcuni analisti ad una consegna dell’Europa alla Russia. Sul versante rapporti con Israele a parlare è stato il capogruppo Democratico al Senato: il potente senatore newyorkese Charles Schumer (lui stesso ebreo americano) ha preso le distanze dal governo di Netanyahu per sostenere la necessità di aiuti alla popolazione palestinese duramente colpita a Gaza. Mossa umanitaria o politica? Entrambe: a Biden servono i voti dei Musulmani dello Stato del Michigan, uno degli stati dell’Unione insieme all’Ohio dove si gioca la partita presidenziale. Ma soprattutto i Democratici sanno bene, da sondaggi interni, che la maggioranza degli under 30 sosterebbe la cessazione dell’assedio di Gaza. A questa frangia elettorale bisognerebbe aggiungere un 5/6% dell’elettorato Repubblicano che non apprezza Trump. Voteranno Democratico? Difficile dirlo.
Versante interno. La partita è tutta sulla cultura. Da un lato i sostenitori di Trump contrari, nemici, alla cultura woke, dall’altro i Democratici più aperti sul tema. Cosa è la cultura woke? Nata nelle Università della East Coast è un approccio ideologico alla interazione sociale basata sul concetto di un razzismo strutturale nella società americana. Certo non siamo agli anni della segregazione e del Civil Rights Movements, ma di certo non è stato del tutto eliminato. Questo approccio culturale e ideologico indurrebbe un senso di colpa nella popolazione bianca nonostante la sua non identificazione con il razzismo strutturale. Un po’ come incolpare tutti i settentrionali di un recondito razzismo verso i meridionali. Vero non vero? Si apre un dibattito non sempre intellettualmente e ideologicamente neutro. Insomma su questi due fronti siamo su un doppio crinale: un’America inclusiva o un’America chiusa nelle sue paure ancestrali, gli immigrati e gli afro americani. A chi serve una tale Nazione?
Il 5 Novembre è lontano. Gli scenari mondiali accelerano con una velocità spaventosa. Gestirli, rassicurare l’elettorato americano non sarà facile, malgrado l’economia vada a gonfie vele. Ma dell’economia parleremo nel prossimo intervento. Saluti da una Washington DC che si prepara a celebrare i 250 anni della Costituzione USA con un intermezzo di elezione presidenziale.