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Un tavolo sulla psichiatria dopo l’omicidio Capovani

by Carlo Gnetti
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L’autore, giornalista, collabora con il Museo della mente di Roma ed ha pubblicato per Ediesse, tra gli altri, “Il bambino con le braccia larghe” (2010) e “Gli amortali” (2015).

 

Ha suscitato molta impressione la morte della psichiatra pisana Barbara Capovani in seguito all’aggressione subita da una persona con disagio psichico, Gianluca Paul Seung, dal nome esotico ma di cittadinanza italiana (dunque l’episodio non può essere usato come pretesto per solleticare un sempre latente razzismo). Non parliamo qui del cordoglio, della disperazione dei familiari, degli attestati di solidarietà e stima dei colleghi e dei conoscenti, ai quali non può non associarsi chiunque abbia un po’ di cuore e cervello. Parliamo delle reazioni di chi trae motivo da episodi come questo per invocare misure fuorvianti. Lo ha fatto in questo caso il deputato pisano della Lega Edoardo Ziello parlando di riapertura di manicomi, e interpretando in modo forse un po’ rozzo un’opinione abbastanza diffusa: cioè che occorre rivedere alla radice la legge 180, più nota come legge Basaglia, e che forse si stava meglio quando i matti erano rinchiusi nei manicomi, consentendo a ciascuno di noi di nascondere più agevolmente la polvere sotto il tappeto. Per fortuna la maggioranza delle reazioni politiche, nonché le prese di posizione degli addetti ai lavori, vanno in una direzione diversa, che sostanzialmente chiama in causa le carenze del Servizio Sanitario Nazionale e i nodi irrisolti su questa materia sul terreno giuridico. Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della Ricerca, promette “un tavolo sulla psichiatria che rivisiterà criticamente l’impianto legislativo attuale”. I sindacati, e la Cgil in particolare, chiedono maggiori investimenti, perché i professionisti “lavorano in solitudine”.

Chi scrive si era già occupato di questa tematica in un articolo pubblicato da Gente e Territorio il 30 giugno 2021 (I servizi psichiatrici nell’attuale sistema sanitario, https://www.genteeterritorio.it/i-servizi-psichiatrici-nellattuale-sistema-sanitario/), dove si denunciavano, tra l’altro, le crescenti ragioni di squilibrio e di conflitto sociale che alimentano il disagio psichico – eravamo in piena era Covid e non si era ancora tornati a parlare di “emergenza immigrazione” –, le sempre minori risorse destinate alla psichiatria e le condizioni di disagio in cui sono costretti a lavorare gli operatori, ridotti di numero e inseriti in strutture sempre più sovracaricate. Vale la pena ricordare, a proposito dell’episodio appena citato, che a fine 2022 i posti letto nelle Rems della Toscana erano 38 a fronte di una lista d’attesa di 59 persone. Le Rems sono le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza che hanno preso il posto dei famigerati Opg, gli Ospedali psichiatrici giudiziari in cui i pazienti vivevano in condizioni disumane e senza alcuna speranza di uscirne rinsaviti. I nuovi istituti dovrebbero occuparsi dei percorsi terapeutici di chi ha compiuto reati e non è pienamente “in grado di intendere e di volere”. Ora, chi non sia pienamente in grado di intendere e di volere è questione seria e dibattuta da tempo, che occorrerebbe affidare in primo luogo alla valutazione di professionisti e che chiama in causa molteplici aree di intervento: dalla sicurezza personale agli aspetti legali, dall’assistenza sociale a quella psichiatrica, dai contesti familiari alle condizioni economiche, ambientali e sanitarie locali, richiedendo in ogni caso un percorso di cura molto ben articolato e definito. Allo stesso modo gli esperti dibattono sin dall’inizio del secolo scorso sul rapporto tra criminalità e malattia mentale. “Nella maggior parte dei casi – si legge in un articolo di Carmela Marucci pubblicato il 13 agosto 2018 su Profilicriminali.it, Esiste un reale rapporto tra malattie mentali e criminalità?, https://profilicriminali.it/2018/08/13/esiste-un-reale-rapporto-tra-malattie-mentali-e-criminalita/, che prende a riferimento gli studi effettuati da Desjarlais, Eisenberg, Good, Kleinmann nel 1995 e riportati nel volume World mental health. Problems and priorities in low-income countries, Oxford University Press – si può sottolineare che sono fenomeni del tutto indipendenti l’uno dall’altro. Ed è bene dunque ricordare che la possibilità di esprimere violenza, commettendo reati e abusi di ogni genere, riguarda tanto le persone mentalmente sane quanto quelle affette da disturbi di natura psichiatrica”.

Tornando al tema dell’articolo citato in precedenza, scritto sull’onda dell’emozione suscitata da un episodio di cronaca avvenuto ad Ardea il 13 giugno 2021, quando un uomo affetto da disturbi psichiatrici aveva ucciso con un’arma da fuoco una persona anziana e due bambini, in un’intervista pubblicata il giorno seguente da Panorama (Linda di Benedetto, L’assassino di Ardea non è stato seguito a dovere, https://www.panorama.it/assassino-ardea-malato-psichiatria-cura), il presidente della Società di Epidemiologia Psichiatrica Fabrizio Starace, dopo avere stigmatizzato il possesso di un’arma da parte di una persona che era già stata sottoposta a Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso), così affermava: “La prassi del Tso è corretta ma dopo il ritorno a casa, in questo caso avvenuto dopo 7 giorni, c’era necessità di proseguire il trattamento. Questa persona andava seguita. Poteva tornare a casa ma non doveva interrompersi la continuazione della cura. È come nel caso dell’infarto: si agisce nell’immediato ma poi la persona deve continuare con visite e cure”.

Bisogna considerare che in Italia sono circa 850 mila le persone seguite dai Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm) – la Asl Roma2 ne ha ben 140 a carico di ogni singolo psichiatra –, e di queste circa un quinto soffrono di psicosi. Le condizioni dei servizi per la salute mentale sono diverse da Regione a Regione e, come denunciato nell’articolo citato di Gente e Territorio, sono soggetti a continui tagli e riduzioni di personale proprio quando la domanda di cura e di attenzione al disagio mentale è in continua, irrefrenabile crescita. Di fronte a tutto ciò la soluzione non è certamente la riapertura dei manicomi. Quando erano aperti i tassi di omicidio e violenza erano superiori a quelli odierni, come conferma lo psichiatra Luigi Cancrini in un’intervista al Corriere della Sera del 26 aprile 2023 (“Per uno stalker come l’assassino i soli ammonimenti non bastavano”).

Come affrontare dunque un problema che non può comunque essere sottovalutato? Cancrini, parlamentare durante il governo Prodi, aveva proposto un emendamento alla legge sullo stalking che prevedeva una maggiore collaborazione tra magistrati e psichiatri. In un articolo pubblicato su Quotidianosanità.it il 25 aprile 2023 il presidente della Società Italiana di Psichiatria Claudio Mencacci, a proposito dei femminicidi, chiede ai magistrati “più prevenzione e meno tolleranza” abolendo le giustificazioni, anche di natura psicologica. L’appello di Mencacci si basa su dati incontrovertibili: solo il 5 per cento degli omicidi e delle violenze contro le donne è causato da persone con disturbi psichici; il restante 95 per cento va a carico di persone pienamente capaci di intendere e volere. Per questo occorre prestare molta attenzione a ciò che avviene nella mente delle persone e all’ambiente esterno in cui prende corpo la loro “follia”: “Innanzi tutto va sfatata la convinzione che vi sia una connessione tra malattia mentale e violenza – afferma Mencacci –. Attribuire automaticamente gli atti di violenza a persone con disturbi mentali porta ancor più a stigmatizzare queste patologie e coloro che realmente ne soffrono e che si curano”. E ancora: “Non è più possibile trovarsi di fronte a un omicidio magari dopo anni di segnalazioni senza che vi sia stato alcun intervento serio dell’autorità giudiziaria. Inoltre non si deve giustificare la spettacolarizzazione o legittimare gli atti violenti che provocano emulazione. La spettacolarizzazione e il compiacimento che oggi ruotano attorno al gesto violento e aggressivo portano all’emulazione crescente e all’acquisizione di comportamenti negativi, intesi come legittimati dalla collettività. Questo modello va stroncato, perché enfatizzare l’aspetto eroico o esibito significa invitare al compimento di atti lesivi gravi in maniera sempre maggiore”.

Dunque, vi è un problema di ordine educativo e culturale che riguarda un’intera generazione, forse un intero modello sociale. Ma questa non è certo una novità.