L’Autore, già giornalista della RAI, saggista e docente universitario, insegna marketing e new media al dipartimento di Scienze Sociali dell’università Federico II di Napoli.
Alphabet Workers Union, si chiama così il primo sindacato dell’algoritmo nato in questi giorni sugli schermi di Google. Un pugno di ingegneri e programmatori, circa 500 su 260 mila dipendenti del gruppo, decisi a cambiare la storia della tecnologia.
Come scrive il loro manifesto fondativo (https://alphabetworkersunion.org/) “Useremo il nostro potere recuperato per controllare ciò su cui lavoriamo e come viene utilizzato. Garantiremo che le nostre condizioni di lavoro siano inclusive ed eque. Non c’è posto per molestie, fanatismo, discriminazione o ritorsione. Diamo la priorità ai bisogni e alle preoccupazioni degli emarginati e dei vulnerabili. I lavoratori sono essenziali per il business. La diversità delle nostre voci ci rende più forti”. Un sindacato che nasce dunque più che per contrattare gli stipendi per garantire trasparenza e condivisibilità dei sistemi di calcolo. Spiegano ancora i dirigenti del nuovo sindacato “Garantiremo che Alphabet agisca in modo etico e nel migliore interesse della società e dell’ambiente. Siamo responsabili della tecnologia che portiamo nel mondo e riconosciamo che le sue implicazioni vanno ben oltre Alphabet. Lavoreremo con le persone interessate dalla nostra tecnologia per assicurarci che serva il bene pubblico”.
In gioco è proprio l’idea di lavorare in una tecnologia che non si controlla, la si progetta ma poi non si riesce a seguirne la finalizzazione. I programmatori di Google che si sono associati all’iniziativa vengono da anni di mobilitazione ed impegno, in cui ci si interrogava su cosa volesse dire lavorare e controllare le memorie del mondo. Il colpo di grazie è poi venuto dal caso di Timnit Gebru (https://www.technologyreview.com/2020/12/04/1013294/google-ai-ethics-research-paper-forced-out-timnit-gebru/ ), l’ex responsabile dell’etica dei sistemi di intelligenza artificiale di Google licenziata nello scorso dicembre a causa delle sue critiche sulle discriminazioni che sono sottese ai modelli semantici con cui automaticamente parla Google. Lo stesso CEO di Alphabet, la conglomerata che controlla il motore di ricerca più diffuso nel pianeta, Picchiai, ha riconosciuto che forse si è agito male nei confronti della Gebru. Anche perché più di 3000 fra ricercatori e docenti universitari si sono mobilitati per richiedere il suo reintegro. Ora si passa all’organizzazione sindacale e l’etica diventa materia di negoziazione sociale, non delegata allo stato o a leggi, ma a un conflitto professionale e sindacale che costringa i proprietari dei sistemi di calcolo a rendere accessibile e controllabile l’azione di quelle intelligenze che condizionano la nostra vita. Da oggi città, università, categorie professionali costretti a dover delegare le proprie attività a piattaforme intelligenti avranno una sponda in più per poter consapevolmente rivendicare il controllo e l’adeguamento di questi sistemi che si sovrappongono prima e sostituiscono poi attività discrezionali come la sanità o l’informazione.