Della lista in quindici punti che l’italica destra ha presentato come “programma” vale la pena approfondirne uno: il Ponte sullo Stretto di Messina.
La questione, tralasciando i trascorsi storici, è aperta fin dai primi anni ’70 del secolo scorso e dai primi anni ’80 si sono susseguiti fasti e nefasti della “Stretto di Messina S.p.A”, accompagnati da roboanti dichiarazioni di apertura dei cantieri da parte di Ministri e Presidenti del Consiglio, senza che nulla sia mai accaduto se non un esorbitante dispendio di soldi pubblici.
Tuttavia in questo frattempo sono maturati studi sui vari aspetti della questione, sono stati pubblicati molti lavori e si è anche formata la diffusa consapevolezza che si tratta di un’opera caratterizzata da due requisiti: essere inutile ed essere dannosa.
Prima di entrare nei dettagli va comunque chiarito che anche il problema di base della fattibilità tecnica è ancora tutt’altro che risolto: un ponte ferroviario con un’unica campata lunga 3.300 m non è mai stato costruito e gli enormi problemi di natura sismica e geologica che sono stati evidenziati sono ben lungi dall’essere stati risolti.
Per inciso è utile sapere che di recente è stata prospettata una diversa soluzione tecnica, con un ponte di lunghezza maggiore – circa 4.000 m – ma a tre campate di cui quella centrale, di circa 2.000 m, poggiata su due pile intermedie fondate in mare. Chissà se i novelli sostenitori ne sono al corrente e quale privilegiano.
Tornando all’inutilità, questa appare di palmare evidenza se si riflette sugli obiettivi che si dice si vorrebbero raggiungere: creare più facili collegamenti tra Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni; congiungere la Sicilia con il resto d’Italia; fare da ponte tra l’Europa e l’Africa.
Per il primo punto è bene sapere che per motivi di natura altimetrica l’entrata e l’uscita sui due versanti avverrebbero a molti chilometri di distanza dai centri urbani che, quindi, verrebbero “saltati” dal ponte, mentre per migliorare i collegamenti tra le due sponde basterebbe modificare l’inqualificabile situazione degli attracchi ai traghetti, in particolare a Villa San Giovanni.
Sul secondo, decenza vorrebbe che si pensasse prima alla realizzazione delle linee ferroviarie nel triangolo Messina-Palermo-Catania, in assenza delle quali la ferrovia transitante sul ponte andrebbe ad innestarsi nel nulla.
Quanto al terzo, è un vero un mistero come si possa dire che la congiunzione fisica della terraferma con un’isola serva ad assicurare la connessione con un altro continente al di là del mare. Più sensatamente, grazie alla sua posizione centrale, alla rete dei suoi porti e alle Autostrade del Mare, la Sicilia potrebbe essere già oggi una straordinaria piattaforma di riferimento per i flussi di trasporto dell’intera area mediterranea.
Per quel che riguarda la dannosità l’elenco è lungo a dismisura e gli esperti dei vari settori l’hanno da tempo ampiamente documentata. Ne ricordo alcuni.
Dal punto di vista idrogeologico sarebbero enormi i danni inferti ad un territorio di per sé fragile, che verrebbe interessato per decine di chilometri dalle gigantesche opere di avvicinamento al ponte su entrambi i versanti.
Dal canto suo l’ecosistema terrestre e marino costiero in corrispondenza delle zone di impianto dei piloni sui due lati verrebbe irrimediabilmente devastato (si pensi solo ai laghi di Ganzirri e alla riserva naturale di Capo Peloro).
Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla pianificazione dei trasporti è appena il caso di rilevare l’insensatezza di inserire un’imponente infrastruttura nel punto di congiunzione tra due estreme debolezze: la già ricordata rete ferroviaria siciliana e la linea ferroviaria Salerno-Villa San Giovanni; senza il completo rifacimento di queste infrastrutture la convenienza dal punto di vista trasportistico è nulla.
Di tutto ciò di è detto e ridetto, scritto e riscritto, discusso e ridiscusso fino al provvedimento varato nel 2006 dal Governo Prodi – che ho avuto l’opportunità di promuovere in qualità di Ministro dei Trasporti – che ha chiuso la questione della costruzione del ponte dichiarandone, per l’appunto, l’inutilità e la dannosità.
Da allora sono continuate senza sosta le spinte da parte dei gruppi imprenditoriali interessati “all’affare”, così come sono riemersi a più riprese i rigurgiti dei loro terminali politici, ma nulla si è potuto fare anche a motivo dell’esclusione del progetto dai finanziamenti della Comunità Europea e della bocciatura di un emendamento teso a riaprire la questione nella Legge di Bilancio 2016.
Dunque, come mai oggi se ne torna a parlare con tanta enfasi nel cosiddetto programma dell’italica destra e nelle dichiarazioni dei suoi tre leader?
Avanzo, se è lecita una digressione scherzosa, tre ipotesi.
Perché Berlusconi aspira a vedere il suo nome scritto a caratteri cubitali sulla campata centrale del ponte? Perché alla Meloni non hanno detto esattamente di che cosa si tratta? Perché Salvini, pur sapendo nulla dell’intera questione, ritiene di parlarne da grande esperto?