Ricorre quest’anno il centesimo anniversario della nascita di Francesco Rosi (scomparso nel 2015) e sono numerosi gli scritti, le manifestazioni e gli eventi filmici e televisivi con cui è stato celebrato uno dei Maestri della cinematografia italiana e internazionale.
Quello che qui vorrei aggiungere è un aspetto del tutto particolare della figura del grande regista e di un suo celebre film – Le mani sulla città – emerso in occasione della Laurea ad honorem in Urbanistica che gli venne conferita da parte dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria il 27 gennaio 2005.
Come si conviene in quelle occasioni, Francesco Rosi tenne una Lectio doctoralis dal titolo Un film una città in cui esplicitava con l’abituale chiarezza il suo punto di vista circa il ruolo sociale e politico dei suoi film. Con il Direttore Cioffi abbiamo convenuto che quel discorso merita di essere annoverato tra le molte cose citate in occasione del centenario, per cui Gente e Territorio lo pubblicherà integralmente.
Ma ad introdurre la lezione di Rosi vi furono anche tre interventi di cui credo sia utile riportare alcuni brani perché inquadrano bene il significato del riconoscimento accademico ad un opera filmica e al suo Autore da parte di un mondo affatto diverso come quello di una Facoltà di Architettura, in particolare di un Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale.
Il primo è del Prof. Massimo Giovannini al quale, in qualità di Preside della Facoltà di Architettura, spettava il compito di esplicitare le motivazioni della laurea conferita, così diceva “per l’elevato valore artistico ed estetico, etico, sociale, civile e politico dell’opera del Maestro e visto il contributo dato con il film Le mani sulla città, alla presa di coscienza sui temi della città, dell’ambiente e del paesaggio nell’ambito della società civile”. Aggiungeva poi: “La forza dirompente del cinema di indagine e di proposta così bene rappresentato da Francesco Rosi – che dà una nuova spinta al cinema italiano uscito dal neorealismo storico – la conoscenza dei luoghi, la fiducia nelle istituzioni preposte al governo della città e del territorio, magistralmente espresse in Le mani sulla città, sono tuttora vive e coinvolgenti lo spettatore di oggi, anche quello più distante dalle tematiche specifiche e dalle culture tecniche, rappresentano ancora, a quarant’anni dal Leone d’Oro alla XXIV Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, una grande ed attuale lezione di urbanistica”.
Il secondo brano è del Prof. Enrico Costa, allora Presidente del Corso di Laurea e promotore dell’iniziativa, al quale spettava la Laudatio. Diceva Enrico Costa: “Le mani sulla città ha lo stesso valore testuale – classico fra i classici – dei tanti irrinunciabili testi fondativi dell’urbanistica. E Rosi ne è Autore, ed in quanto tale, al pari di Cerdà, Sitte, Howard, Geddes, Poëte, Giovannoni, Le Corbusier, Bernouilli, Piccinato, Samonà, Lynch, Cullen, Mumford, Benevolo, De Carlo, Alexander, l’indimenticabile Astengo, è entrato a far parte non di una inerte quadreria di ritratti, ma nel nostro DNA disciplinare…” Quindi “Le mani sulla città è un film unico, e destinato a rimanere tale, un Manifesto non solo di cultura urbanistica, ma di estetica cinematografica, di rigore stilistico, di sapienza tecnica, di razionalità, di valore artistico, di coerenza storica, di serietà etica, di realismo critico, dal ritmo incalzante, film ideale, dal punto di vista della linea di ricerca su CinemaCittà, per analizzare – in rapporto alla ricerca in architettura e in urbanistica – la struttura narrativa e la costruzione del film, la sceneggiatura, la direzione degli attori, le locations, la musica, comprenderne i valori estetici, ricostruendo il quadro storico e politico-culturale entro cui il film, in tal senso paradigmatico, si inserisce”.
Il terzo, infine, è tratto dalla presentazione dell’evento da parte di chi scrive che, allora Rettore dell’Università Mediterranea, aveva fatto deliberare dal Senato Accademico il conferimento della laurea ad honorem. “Il conferimento della laurea ad honorem in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale a Francesco Rosi rappresenta non solo un evento di particolare rilievo per l’Università Mediterranea, ma anche un’occasione per riflettere su come il tema cinema sia entrato in contatto in questi anni con un’area di studio, l’urbanistica, che è una di quelle fondanti della nostra Facoltà di Architettura. La mia personale esperienza in questo senso risale ad alcuni anni addietro, quando avviai un seminario denominato Fahrenheit 451, nel quale, partendo dallo straordinario film-romanzo di Truffaut-Bradbury, posi al centro della ricerca il tema della città in rapporto con i libri e con i film…”
Quanto ai film, accanto allo stesso Fahrenheit 451 e ad alcuni classici come Metropolis di Fritz Lang e Blade Runner di Ridley Scott, entrarono a far parte della piccola raccolta studiata nel seminario alcuni film che hanno più incisivamente raccontato la città attraverso l’immagine cinematografica: La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, in cui la Casbah appare come una città-casa che, inquadrata insieme alla città europea fatta di grandi caseggiati e di strade regolarmente disposte, fa capire che lo scontro tra le due comunità è anche lo scontro tra due città; Amarcord di Federico Fellini, in cui una Rimini di cartone raccontata attraverso le immagini della passeggiata della Gradisca, del passaggio delle Mille Miglia con Campari e Brilli Peri, della grottesca manifestazione per il gerarca di turno, della vita domestica di una famiglia piccolo borghese, fa capire come meglio non si potrebbe l’anima e il corpo di una città di provincia; Manhattan di Woody Allen, nel quale la urbanità della poetica dell’Autore si esprime ai livelli più alti attraverso le strade, il ponte dei Queens, lo sky-line di Manhattan, elementi emblematici di quella New York considerata la metafora della decadenza della cultura contemporanea; Lisbon Story di Wim Wenders, sofferta riflessione sui fondamenti del cinema a cento anni dalla nascita, ma anche straordinario affresco di una Lisbona scrutata e interrogata dall’inizio alla fine attraverso i suoni della vita quotidiana e attraverso le immagini dei simboli urbani: il ponte sul Tago, l’acquedotto con archi a sesto acuto, i monumenti del centro storico e anche il vecchio borgo degradato, fatto di stradine strette e acclivi lastricate di pietra, di scalinate e di case basse dai colori chiari, case che quando saranno scomparse – dice una voce fuori campo – allora tutte le storie che nascondono verranno alla luce del sole”.
E più avanti: “Ho voluto richiamare anche con qualche dettaglio l’iniziativa di quel seminario, perché ha un diretto collegamento con Le mani sulla città di Francesco Rosi, in quanto allora mi ero posto l’interrogativo se inserire nella raccolta quel film – che da tempo conoscevo e che mi aveva fortemente impressionato – e mi ero orientato per il no, per una ragione che oggi mi sembra confermata. La ragione è che la finalità del seminario era di natura squisitamente estetica, voleva verificare se un’arte tra le più giovani, come la cinematografia, era riuscita ad estetizzare una realtà tra le più antiche, come la città. Le mani sulla città di Rosi non era e non è riducibile a questa dimensione estetica – anche se sarebbe fin troppo facile, vedendo le devastanti immagini della Napoli scempiata dall’edilizia degli anni cinquanta, riferirsi all’estetica del brutto di Rosenkranz – perché è qualcosa di più e di diverso. È, anzitutto, una lucida e dura denuncia sociale riferita al perverso intreccio affaristico tra mondo politico-amministrativo e imprenditoria edilizia, che ha dominato alcune grandi città del centro sud – certamente Napoli, ma anche Roma, Palermo, Catania, Salerno, Agrigento, Bari, per citare i casi più eclatanti – creando guasti che ne hanno segnato, in alcuni casi irreversibilmente, il volto. È, di conseguenza, un’esemplare lezione di urbanistica moderna se riferendoci a questa disciplina pensiamo non solo ai metodi e alle tecniche per la progettazione urbana ma, ricordando i suoi caratteri fondativi agli albori dell’Ottocento, al complesso di regole per la composizione in termini spaziali dei rapporti sociali all’interno di una comunità insediata.
Da questo punto di vista il film di Rosi è un testo che si dovrebbe adottare nei corsi universitari, facendolo studiare ai giovani studenti e anche, forse soprattutto, ai loro docenti di urbanistica, che sembrano ormai dimentichi della dimensione etica del loro operare”.