Dario Fabbri, celebrato e onnipresente politologo e polemologo della rivista “Domino”, parla oggi di vittoria russa. Tardivamente, ma ormai lo fa. Perché tardivamente? Perché in questi due anni ha sbagliato del tutto le sue analisi sulla guerra. Ha previsto anzitempo la sconfitta russa, presumendo che la superiorità tecnica e tattica di Kiev, assistita dalla NATO, avrebbe ricacciato indietro la Russia. Ha ripetuto infatti una banalità corrente erronea: e cioè che la Russia volesse entrare nel 2022 in Kiev per annettersi l’Intera Ucraina. Sbagliando in pieno, come del resto il bravo Caracciolo di Limes, anche lui incline a parlare di annessione mancata. E dunque di ripiegamento forzato russo dovuto alla resistenza di Kiev dopo i primi due mesi dall’invasione.
Un errore grossolano di entrambi gli esperti. Almeno in gran parte. Perché Putin teso ad un cambio di regime a Kiev, non ha mai puntato ad una nuova Ucraina russa pur rivendicando l’inseparabilità della millenaria storia russa da quella Ucraina. Vale a dire. La Rus slavo Variega originaria, la separazione in ovest ed est dovuta all’invasione tartara. Il ricongiungimento a fine ‘700 sotto l’impero di Caterina, Crimea inclusa. Putin cioè nel ribadire tutto questo aveva un ben preciso obiettivo, da conseguire senza entrare in Kiev città santa ortodossa: determinare la caduta di Zelensky. Senza però alcuna annessione di un paese indebitato, degradato e diviso, punteggiato da oligarchi e povero. Inevitabilmente da mantenere e gestire con tutte le sue fratture. Una volta fallito questo disegno però, anche per la resistenza mobile e ubiqua degli occupati, la Russia ha ripiegato sui suoi veri e vitali obiettivi, dirigendosi su Donbass, Dnjepr, confine meridionale e Mar Nero, a difesa di Crimea e vie d’accesso ad essa. Ma dopo aver distrutto le infrastrutture ucraine lungo l’asse nord sud e aver conquistato Zaporitza e Mariupol.
Certo vi fu in estate 2022 il contrattacco ucraino nel Kherson e a Kharkiv, che tutti pensavano – Fabbri incluso – potesse sfondare verso la costa. Ma inverno 2023, superiorità di artiglieria e aviazione russe, e costruzione di un vallo a cinque strati di linee minate e fortificate, hanno da un lato bloccato l’offensiva di Kiev, oggi orfana di armamenti. E dall’ altro favorito una contro offensiva russa che si è riproiettata da un mese a nord, spingendosi verso Karhkjv e Kherson e oltrepassando il nodo cruciale di Advjka. In pratica oggi la Russia controlla in attacco ben 130 mila kmq di territorio ex ucraino, una regione equivalente alla Svizzera. Circonda Odessa e tiene ben al riparo la Crimea, il Caspio e l’accesso al Mar nero, occupando tutta la riva sud est del Dnjepr. In sostanza e a bocce ferme, si tratta di una vittoria totale e ancora in movimento. Poiché basata sulla occupazione di tutta l’enclave russo-ucraina al sud, con estensione sino alla Transnistria russa e ribelle alla Moldavia, vogliosa di entrare nella NATO come la Georgia , già battuta dalla Russia quando essa invase l’Ossezia nel 2008.
Ecco dunque perché Dario Fabbri parla oggi di vittoria totale russa. Dopo aver a lungo sostenuto il contrario, sia pur non nascondendosi tutte le varianti di una guerra di attrito molto lunga. E lo stesso fa anche Federico Rampini che giorni fa a Piazza Pulita ha ammesso di aver sbagliato tutto: di aver previsto la sconfitta russa invece di totale tenuta e successo russo. Bene. Ci si sarebbe aspettato che i due profeti pentiti cambiassero approccio. E invece accade il contrario! Perché Rampini rilancia la necessità di aumentare lo sforzo bellico sostenendo ancora la urgenza di massicci aiuti USA oggi bloccati dalla Csmera, e del riarmo Ue, quello invocato da Ursula Von der Leyen di 100 miliardi di Euro bond, con tanti saluti in questo caso al rigore e alla lotta all’inflazione. Della serie keynesismo militare, un ossimoro bizzarro ma reale, teso a unificare le due sponde dell’ Atlantico. E non solo con energia a caro prezzo dagli USA, ma con un gigantesco piano Marshall tutto a vantaggio del volano americano bellico. Con ovvia escalation russa. E tuttavia per ritornare a Dario Fabbri c’è dell’ altro. Già. Perché Fabbri ammessa la vittoria tattica dei russi, aggiunge un elemento. Eccolo: la Russia vince eppure perde “strategicamente”, visto – egli dice – che si schiaccia e si rende “subalterna” alla Cina in tutto questo. Assurda affermazione in verità. Perché è certo ben vero che la Cina lucra sul ruolo ante murale della Russia rispetto agli USA protesi contro il Dragone nel Pacifico. A difesa di Taiwan e delle rotte in quel mare, oltre a far barriera su export di Pechino. Ma resta altresì vero che la Cina ignora con Arabia, Arabia, Africa e America Latina le sanzioni alla Russia. E laddove al contempo le due economie, russa e cinese, divengono complementari a beneficio russo e su un piano assolutamente paritario. Con la Russia che esporta in Cina grani, petrolio e gas oltre a terre rare. E la Cina che offre tecnologia e semiconduttori alla Russia, aiutando la sua diversificazione economica.
Si capisce allora perché quella Sino Russa sia una alleanza “scolpita nella pietra”, inscalfibile e cementata dal comune nemico americano economico e politico. Dunque la tesi di Fabbri ovvero staccare Russia e Cina, non ha senso e rilevanza. Visto che la Russia non ha alcuna convenienza a staccarsi da presunta egemonia cinese. Né tantomeno la Cina avrebbe alcuna convenienza a staccarsi dalla Russia, partner a sua difesa sia commerciale che geopolitico. Vera e propria polizza di assicurazione per i traffici cinesi con i Brics – 20% pil mondiale, 45% popolazione globo – nonché per la sua espansione nel Pacifico.
In conclusione mentre l’America è divisa sulla guerra, e difficilmente la Ue potrà oggi e domani varare giganteschi piani di riarmo – stanti tassi, inflazione ed emergenze green – la Russia ha vinto la guerra fin qui, pagando in termini di espansione NATO a nord, ma rafforzando la sua sicurezza anti NATO ai confini sul Mar Nero. Resistendo alle sanzioni. Conquistando enclave russe. E aumentando le sue relazioni con tre quarti di mondo. Rafforzando infine – vedi morte Navalny – il suo dispotismo violento con quello cinese. Mentre viceversa Kiev boccheggia, arretra e cambia l’intero stato maggiore in carenza di aiuti. E tuttavia, pur in presenza di questo scenario non smentibile che fanno gli accreditati analisti occidentali come Rampini e Fabbri? Finiscono in un vicolo cieco impigliati nei loro errori. E oltre a invocare riarmo, persistono con vecchie machiavellerie, tipo convincere la Cina a staccarsi dalla Russia e viceversa. Senza aver capito che la strada della fine della crisi geopolitica è una sola. E cioè trattare con la Russia subito una tregua come base di un assetto spartitorio nel sud ucraino. In vista di una coesistenza pacifica tra sistemi e aree regionali diverse, linea che è l’unica a poter incrinare il blocco di pietra Sino Russo rendendo entrambi i due colossi permeabili ad un minimo di democrazia e diritti civili. E anche ad una possibile divergenza di interessi, in un quadro multilaterale . E tuttavia fin qui la sconfitta in Ucraina sembra non aver insegnato nulla all’Occidente. Che continua a battere la testa contro una impossibile supremazia egemonica militare e morale in un mondo che la rifiuta e che ha già generato dopo il 1989 uno scontro di Civiltà senza fine.