Gli annunci sono roboanti: 380mila presenze turistiche a Napoli, Capodanno che dura quattro giorni, eventi dal Plebiscito a Ponticelli! Una città seconda solo a Roma per periodo di permanenza degli ospiti stranieri, per lo meno quattro giorni!
Che cosa piace della città è facile saperlo: il sole, il mare, le sfogliatelle, ma anche i presepi, l’offerta culturale diversificata per età con concerti, spettacoli, eventi natalizi. Ma sarà capace la città di reggere un tale urto? Il Comune ha messo in campo tutta una serie di iniziative.
“L’Osservatorio ci ha fornito dati che indicano un afflusso significativo di persone in città. – ha spiegato l’assessore Armato – Saremo pronti ad accoglierli con servizi potenziati, dall’igiene urbana alla mobilità pubblica, passando per la sicurezza”.
Insomma incassi record e tutti felici. Mi soffermerei su due aspetti che si nascondono dietro tanta pomposa dichiarazione di intenti. Già ora per i residenti fuori del centro storico della città le luci, per così dire, sono spente. Poche e sparute illuminazioni, il più delle volte a spese dei commercianti del posto e poi il buio. Basta percorrere Gianturco o San Giovanni per avere un’idea di quanta attenzione vi sia da parte dell’amministrazione locale. Come succede del resto in tutte le grandi città d’arte, fuori del centro storico-artistico di Firenze, ad esempio, si sono purtroppo evidenziate situazioni lavorative che hanno portato a gravissimi incidenti sul lavoro. Ovviamente è capitato a Firenze ma poteva succedere in qualunque altra città d’Italia il cui magnifico curriculum spesso nasconde, in zone lontane dalle luci della ribalta, povertà, lavoro nero, abusi.
Ma torniamo alla nostra sfolgorante Partenope. Non vi nascondo che mi risulta sempre più difficile andare a visitarla o solo a fare una passeggiata. Via Toledo e i quartieri spagnoli invasi da una puzza insopportabile di frittura, negozi storici che conoscevo da sempre e in cui magari si andava per acquisti importanti, chiusi e sostituiti da catene di prodotti a basso costo se non da cineserie. Siamo lo specchio di una globalizzazione selvaggia che rende purtroppo ogni aspetto della città appiattito e privo di autenticità. Già Calvino aveva denunciato tali rischi in quel capolavoro, specchio della realtà, che è Le città invisibili. Trude è la città la cui principale caratteristica è di non avere caratteristiche, di essere cioè uguale a tutte le altre. Era la prima volta che venivo a Trude ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano. Alla luce di questa affermazione qual è il senso del viaggiare, se è proprio il turismo di massa a far perdere le connotazioni dei luoghi?
Chi desidera un’esperienza di viaggio vera non dovrebbe fermarsi a Trude o fuor di metafora a Napoli, città svuotata di se stessa. Ma chi potrebbe dirlo ad albergatori, ristoratori, affittuari che vivono il loro momento d’oro? Forse bisogna che il turista più sensibile cerchi dietro il volto plastificato della nostra città la sua realtà più vera e profonda ma, per fare questo, ci vogliono tempo, pazienza, attenzione e cura. Per i nostri tempi frenetici sarebbe un inutile spreco di energia.