Al festival internazionale dell’economia di Torino si è discusso anche di traiettorie della globalizzazione. Ne ha parlato Pol Antras, professore di economia ad Harvard, presentato da Francesco Profumo, Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, Giorgio Barba Navaretti, Presidente del Collegio Carlo Alberto, e Thierry Verdier, professore di economia alla School of Economics di Parigi.
Dopo la pandemia e l’invasione russa dell’Ucraina, molti cominciano a sostenere che la fase della globalizzazione produttiva su scala mondiale sia giunta ormai alla sua conclusione. Paradossalmente ci siamo accorti tardi della sua affermazione quando è cominciata e invece ci stiamo allertando troppo in fretta, proclamando forse prematuramente la sua fine.
Come sempre accade in questi casi, cominciano a fiorire i neologismi per definire i cambiamenti che si stanno determinando nella struttura delle relazioni economiche internazionali. Siamo entrati in una fase di de-globalizzazione? Non la pensa così Pol Antras, economista formatosi a Barcellona e da diversi anni ormai trapiantato negli Stati Uniti. Piuttosto, per il docente di Harvard sono terminati gli anni della iper-globalizzazione, mentre sta maturando una stagione di slo-balizzazione (rallentamento del processo di integrazione globale).
Nei decenni a cavallo tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo, la iper-globalizzazione è stata favorita da tre fattori: la rivoluzione nell’ICT (information and communication technology), la liberalizzazione del commercio internazionale, la disintegrazione delle barriere tra gli Stati. Ora le tecnologie continuano a spingere in direzione della globalizzazione: la digitalizzazione e le blockchain contribuiranno a ridurre ancora i costi di transazione.
Le catene globali del valore non subiranno rotture traumatiche, in quanto la decisione di produrre off-shore è una decisione ex ante, che non è soggetta ad alcuna verifica empirica, se non alla stima dei vantaggi che si possono cogliere, mentre la decisione di reshoring, cioè di riportare nei perimetro geografico originario attività che sono state in precedenza globalizzate, deve scontare innanzitutto costi di riposizionamento e poi costituisce in ogni caso una scelta ex post, che deve valutare molto più attentamente la struttura dei potenziali vantaggi.
Diversi fattori stanno ora contribuendo ad attenuare ed a stabilizzare il processo di globalizzazione: si è affermata una tendenza al protezionismo, soprattutto per effetto della guerra commerciale tra Stato Uniti e Cina. L’aumento delle diseguaglianze ha generato inoltre una reazione politica affidata alle forze populiste, che si sono rivolte agli elettori per rappresentare il malessere degli sconfitti in funzione antiglobalizzazione. Sono mancate infine completamente politiche per attenuare gli effetti negativi del decentramento produttivo e della pesante razionalizzazione della macchina industriale su scala internazionale.
Mentre la pandemia, pur essendosi manifestata con impatto drammatico per la interruzione a scacchiera delle attività su scala mondiale, non lascerà probabilmente effetti strutturali su meccanismi di organizzazione dell’economia internazionale, radicalmente differente è il discorso relativo alle trasformazioni geopolitiche che si stanno manifestando per effetto della guerra. Non solo stanno aumentando le tensioni su scala mondiale, ma tendono ad accelerare ulteriormente le diseguaglianze, con un meccanismo di causazione cumulativa che tende ad essere dirompente rispetto ad un ciclo di ampliamento della forbice tra pochissimi iper-ricchi ed una massa tendenzialmente in arretramento, non solo nelle condizioni materiali di esistenza ma anche nelle aspettative, per sé e per le generazioni future.
Anche l’accelerazione della consapevolezza sugli interventi necessari per l’emergenza climatica induce a guardare più attentamente alle rispettive frontiere interne rispetto alla dimensione globale, pur se questa drammatica emergenza può essere affrontata essenzialmente in via principale su scala sovranazionale.
Insomma, conclude Pol Antras, non suonano le campane a morto per la globalizzazione. I processi di internazionalizzazione continueranno, anche se da un lato rallenterà probabilmente il ritmo di crescita della integrazione mondiale dell’economia e, dall’altro lato, le leve della politica, che erano state un forte acceleratore di processo, tenderanno a mettere qualche bastone tra le ruote.
Si aggiunge poi recentemente anche la volatilità logistica, che si manifesta in modo duplice: da un lato attraverso una forte pressione sui prezzi delle connessioni transnazionali, soprattutto marittime, e dall’altro con una crescita della congestione, che rischia di generare interruzioni alle catene globali del valore. Aumentano le incertezze ed i rischi di recessione si rendono sempre più probabili. La durata della guerra e le traiettorie di uscita da questa crisi diranno molto sulle caratteristiche della prossima fase dell’economia internazionale.