fbpx
Home In Italia e nel mondo Tragedie dimenticate, un giro del globo

Tragedie dimenticate, un giro del globo

by Guido Mondino
0 comment

Molto inchiostro è scorso nel 2023, e chissà quanto ancora ne scorrerà nei mesi a venire, sulla guerra in Ucraina e sul conflitto tra Israele e Hamas. Giustamente, direte, giacché le due crisi – non lontane dai nostri confini – ci riguardano e ci angustiano. Lontano dai riflettori, tuttavia, sul nostro pianeta vi sono altre tragedie delle quali si parla poco, o solo saltuariamente, e che rischiano di finire nel dimenticatoio. Vi propongo un rapido giro del globo.

Birmania. A seguito del colpo di Stato del 1° febbraio 2021, si è sviluppata una guerra civile con molteplici gruppi (etnici) armati e, dal 27 ottobre scorso, il paese è scosso da nuovi combattimenti non lontano dalla frontiera cinese. Secondo l’OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari), nel giro di un mese, circa 335.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, aggiungendosi agli oltre due milioni di sfollati causati dal coup. Come il resto del mondo, la Birmania non è stata risparmiata da fenomeni metereologici estremi: il ciclone Mocha nel mese di maggio ha fatto centinaia di vittime, mentre decine di migliaia di case della comunità Rohingya – già vittima della repressione della Giunta al potere – sono andate distrutte o pesantemente danneggiate.

Sudan. La “peggior crisi di sfollati al mondo” è attualmente in corso in questo paese, come ha riferito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite Filippo Grandi, Alto Commissario per i Rifugiati (UNHCR). Oltre sette milioni di anime hanno dovuto fuggire davanti alla violenza degli scontri cominciati a Khartoum il 15 aprile tra le due opposte fazioni. Il bilancio dei morti è alto, seppur incerto: oltre 10.000 vittime secondo le fonti ufficiali che, tuttavia, sono stime per difetto. Secondo un rapporto di Human Rights Watch (HRW), i civili appartenenti all’etnia “Massalit” – nella regione del Darfour – sono presi particolarmente di mira dalle Forze di Sostegno Rapido, uno dei gruppi armati che si combattono sul terreno. Il rapporto di HRW menziona “stupri e omicidi etnicamente mirati” che presentano tutte le caratteristiche di una campagna di atrocità scientemente organizzata.

Afghanistan. Da quando i Talebani, nell’agosto del 2021, sono tornati al potere, la situazione dei diritti delle donne si è degradata ulteriormente. Dopo anni di guerra, l’Afghanistan resta uno dei paesi più poveri della terra e, per via delle sanzioni internazionali imposte al regime di Kabul, la situazione si è oltremodo complicata. La siccità ha accentuato la crisi idrico-alimentare e, nell’ottobre scorso, alcuni terremoti hanno ucciso oltre duemila persone, il 90% delle quali donne e bambini (rapporto ONU). Il peggio, purtroppo, sembra di là da venire. Moltissimi profughi, rifugiatisi nel vicino Pakistan, sono sotto la spada di Damocle di un ultimatum del governo di Islamabad: 1.7 milioni di afgani saranno presto espulsi e rispediti verso il loro paese di origine.

Darién. Forse la regione meno nota all’opinione pubblica. Non se ne parla quasi mai. Situata a sud-est di Panama, alla frontiera con la Colombia, è una zona altamente pericolosa che nel 2023 è stata attraversata da circa mezzo milione di disperati alla ricerca del proprio sogno nord-americano. Nel corso dell’anno passato, l’UNICEF ha notato un incremento notevole di minori (e bambini!) che hanno attraversato quei 97 chilometri di giungla tropicale. Una situazione mai vista in precedenza, in cui il 25% dei profughi, nel tentativo di sfuggire alla violenza imperante nei loro paesi (Venezuela, Haiti, Ecuador), sono sotto la soglia dei 14 anni. Il dramma è che nella giungla, già di per sé ostica dal punto di vista ambientale, questi ragazzi sono anche pericolosamente esposti ad aggressioni, furti e violenza sessuale da parte di gruppi criminali che detengono il controllo dei sentieri verso il Nord.

Yemen. Nonostante il cessate il fuoco dello scorso anno, la situazione umanitaria in quella regione dalla luce abbagliante e dai colori intensi, è un disastro che dura da un decennio. Secondo un rapporto ONU, quasi 22 milioni di persone – ossia i tre quarti degli yemeniti – hanno bisogno di aiuti di prima necessità. Otto anni di guerra sono costati la vita a 350.000 persone, molte delle quali decedute per fame. Anche se la situazione è attualmente più stabile di qualche anno fa, il problema si è recentemente acuito con le ambizioni degli Houthi, ribelli sostenuti dall’Iran, che si battono contro il governo sunnita appoggiato da Riyadh. Il pane non si trova, ma le armi sì: come tutti sappiamo, gli Houthi si dilettano a lanciare attacchi con droni e missili sia su Israele che contro le navi in transito per lo stretto di Bab al-Mandab, porta meridionale del Mar Rosso e crocevia commerciale di importanza capitale per tutto il mondo.

Etiopia. Anche se la guerra tra i ribelli del Tigrè e il governo centrale di Addis Abeba è ufficialmente terminata da un anno, per gli Etiopi i supplizi non sono finiti. Ci sono ancora contrasti in diverse regioni di questo paese che conta 120 milioni di abitanti. Per esempio, dal mese di aprile 2023, lo stato dell’Amhara – il secondo più popoloso del paese – è teatro di scontri violenti tra il governo centrale e le forze locali dell’etnia Amara. Dopo una siccità lunghissima e intensa, che aveva causato prolungate carestie, nell’autunno scorso si è passati all’estremo opposto: il paese è stato colpito da piogge torrenziali e inondazioni che in seguito, a causa dei cadaveri trasportati dalle acque, hanno esteso il flagello degli etiopi a condizioni sanitarie insostenibili.

Congo. Tutti ricordiamo la tragica vicenda di Luca Attanasio, il diplomatico italiano ucciso tre anni fa insieme a Vittorio Iacovacci – Carabiniere della scorta – in un attacco a Kibumba. Un conflitto che dura da tre decenni, quello dell’ex colonia belga, e che dal 2021 ha messo la regione di Kivu in stato d’assedio. Nel corso dei mesi trascorsi, la recrudescenza della violenza nell’est del paese ha obbligato oltre 100.000 persone ad abbandonare il proprio domicilio. Nonostante un cessate il fuoco ufficiale, in ottobre sono ripresi i combattimenti fra le forze governative e i ribelli del gruppo 23 marzo (M23), militarmente sostenuti dal vicino Ruanda. Abusi sessuali, sfruttamento di minori, nonché omicidi di donne e bambini non si contano… e nemmeno fanno più notizia in occidente, come se si fosse arrivati a uno stato di totale assuefazione.

Nagorno-Karabakh. Repubblica armena nota come Artsakh, è la spina che più si è voluta ignorare in occidente, ma che più profondamente ferisce l’animo cristiano. Ora quello stato non esiste più, dissolto ufficialmente il 1° gennaio di quest’anno e inglobato dall’Azerbaijan. Oltre 100.000 sfollati (cioè, tutti gli abitanti armeni, visto che erano 120.000), privati di case, terreni, beni e affari. In Europa, la vicenda è stata frettolosamente accantonata da parte dei media e della politica; in pratica, è stata spazzata sotto il tappeto del dimenticatoio, ma resta una vergogna di indicibili proporzioni. Il mondo occidentale ha bisogno del gas di Baku: purtroppo, le ragioni energetiche sono superiori al dolore di un popolo che non ha risorse naturali per “difendere” il proprio diritto all’esistenza.

Il 2024 è arrivato, abbiamo stappato milioni di bottiglie, fatto promesse di ogni genere ed espresso buoni propositi per l’anno nuovo. Ora che Babbo Natale ha rimesso le renne in libertà e che la Befana ha riposto la scopa, nelle calze appese alle finestre o ai camini delle nostre case sono rimaste le tragedie di cui ho provato a parlarvi: genti che non abbiamo il diritto di lasciar scadere nell’oblio. Milioni di ragazze e ragazzi senza un futuro, proprio come i giovani di Gaza o di Mariupol, o dei villaggi della Siberia profonda mandati al macello da Putin. Tragedie che, invece, abbiamo il dovere di tenere sempre davanti agli occhi e sulle quali dobbiamo insistere con chi ci governa affinché siano affrontate e risolte, se vogliamo essere degni della nostra umanità.