I Romani in epoca imperiale avevano l’abitudine di utilizzare grandi quantità di rose – costose, perché prevalentemente importate dall’Egitto attraverso il porto di Pozzuoli – durante cerimonie e banchetti importanti. In tali occasioni, da reti pendenti dall’alto del soffitto si scaricavano cascate di petali di rosa sugli ospiti, impegnati in pasti luculliani e sontuosi. Forse tali cascate, oltre alla spettacolarità, avevano il pregio di coprire anche i… lezzi che il ponentino romano portava nell’aria, provenienti dalla maleodorante Suburra.
Era questo un problema diffuso in antico, più di quanto si possa pensare oggi, tant’è che già Marco Terenzio Varrone, letterato e agronomo, nel primo secolo avanti Cristo consigliava di piantumare nei giardini delle Domus erbe ed essenze per la produzione di profumi.
Poi, nel primo secolo dopo Cristo, Lucio Giunio Moderato, detto Columella, spagnolo di Cadice, autore di “De Re Rustica” – una monumentale opera sulla Agricoltura in dodici volumi – scriveva che era utile avere un roseto coltivato appositamente “vicino alla città per la richiesta di violette, rose ed altri prodotti”
Rimanendo nel campo dell’igiene personale, ricordiamo al lettore che la Pompei antica, con la sua campagna fertile e già densamente abitata, grazie alla rete idrografica del fiume Sarno, aveva di certo giardini di tal tipo e quindi uno, o più, roseti sparsi nel territorio.
Così come aveva una o più fullònicae, posto che una fullònica era una sorta di megalavanderia. E appunto una fullònica fu ritrovata nel 1887, lontano dalla cinta demaniale degli Scavi Pompeiani, durante lo sterro per le fondazioni delle cosiddette Case Operaie – opera longhiana in più blocchi abitativi, con matrice culturale del primo Socialismo utopistico europeo – ubicate non lontane dal Santuario di Valle di Pompei.
Nella occasione, nei livelli superiori dello scavo, fu ritrovata anche una tomba di epoca più tarda, a sua volta ri-frequentata nel tempo. Un ritrovamento importante perché testimoniava una prolungata, secolare frequentazione del sito valpompeiano anche dopo la eruzione pliniana del 79 dopo Cristo. Il ritrovamento avveniva in pieno centro città della allora ancora erigenda nuova Pompei, di cui il Santuario in costruzione sarebbe poi stata la gemma preziosa, capace di attrarre a migliaia fedeli o semplici curiosi e turisti. Come accade ancora oggi.
Del ritrovamento fu data notizia dallo stesso Bartolo Longo nel numero di Maggio del mensile Il Rosario e la Nuova Pompei e da Ludovico Pepe – storico moderno di Pompei nuova – autore del volume Memorie storiche dell’antica Valle di Pompe.
In più, però Bartolo Longo, da profeta e visionario quale era, scriveva in tale occasione nel proprio “Il Rosario e la Nuova Pompei”:
Immagine riportata per stralcio da “Il Rosario e la Nuova Pompei”, inserita nel Volume “Mons. Roberto Ronca prelato e partigiano combattente a Pompei nel dopoguerra” di F.L.I. Federico [OPAC SBN Monografia-Testo a Stampa- IT\ICCU\CAM\0196014]
Nello stesso periodo l’allora Direttore degli Scavi di Pompei Antonio Sogliano, già collega di studi di Giuseppe Fiorelli, pubblicò ed illustrò la fullonica in convegni e riviste specializzate, dopo avere concesso che i resti dell’edificio antico rimanessero custoditi nei cantinati delle “comode, nette, belle e igieniche Case Operaie” della Pompei Nuova, al fine di averle poi “ai fianchi, sottostanti una casa operaia della Pompei antica.”
Con quelle semplici parole Bartolo Longo dava del ritrovamento una immagine diacronica straordinaria, da profeta illuminato. Quei resti archeologici giacciono ancora là, risistemati nei primi anni di questo secolo, in una tormentata vicenda giudiziaria in cui intervenne anche il TAR, ma idonei ad essere recuperati in qualsiasi momento alla visita di appassionati e turisti.
A noi non resta, dunque, che auspicare l’inverarsi di questa ulteriore profezia del Venerabile che ridarebbe radici storiche concrete e tangibili, alla cosiddetta “nuova” Pompei.