Ci sono storie nelle storie che raccontano i fatti a grana fine, con la capacità di cogliere lo spirito dei tempi. Con questa capacità narrativa Armando Bussi – nel suo libro “Due vite, tante vite. Storie di ferrovia e di resistenza” (Luigi Pellegrini Editore) – ci accompagna nelle tragedie che si determinano durante la Prima e la Seconda guerra mondiale attraverso gli eventi vissuti da due protagonisti, che incarnano stili, culture e comportamenti espressioni di culture italiane.
Il vero protagonista del libro è la ferrovia, una impresa che avvolge chi ci lavora in una dimensione totale, un liquido amniotico che assorbe completamente le energie, le passioni, gli interessi. Ferrovieri sono i due principali attori della storia: Luigi Velani ed Armando Bussi, nonno dell’Autore anche lui ferroviere.
Sia pur con gradi di responsabilità molto differenti tra le persone che partecipano agli eventi, la vita quotidiana delle ferrovie, ed il suo avanzamento tecnologico assieme alle sue crisi di mercato, percorre ed attraversa i fatti della storia. Chi è stato in quella impresa conosce il carattere generale che assumono tutti gli eventi di una comunità, perché sono mediati dalla specificità della comunità dei ferrovieri.
C’è una personalità dell’impresa che si riflette nella vita e nella storia delle persone che ne intrepretano la funzione, ai diversi livelli gerarchici nella organizzazione. Si muove dentro l’impresa ferroviaria una nazione attorno ai grandi eventi del Novecento ed attorno alle microstorie familiari, in un intreccio continuo nel quale i valori si confrontano nelle diversità degli approcci culturali.
Nel corso della Prima guerra mondiale la ferrovia assume un valore logistico centrale, per lo schieramento delle truppe, per lo spostamento dei materiali, per le stesse operazioni militari strategiche, durante le offensioni ma anche nei ripiegamenti. Nel corso del conflitto le ferrovie sono impegnate non solo nell’esercizio, ma anche nella costruzione di una rete di collegamenti utilizzando la tecnologia che era stata messa a punto dall’ingegnere francese Paul Decauville nel 1873.Vengono costruiti oltre 300 chilometri di rete nella zona più delicata del conflitto bellico. Diciottomila ferrovieri sono mandati al fronte e settantamila sono militarizzati.
Luigi Velani comincia a percorrere la sua carriera: è il primo ferroviere inviato nella Trieste liberata, per cominciare ad organizzare l’unificazione nell’esercizio tra le linee precedentemente gestite dagli austriaci e quelle italiane. E’ stato uno dei pilastri organizzativi della logistica ferroviaria durante il conflitto e diventa ora uno degli artefici principali del nuovo corso delle ferrovie.
Armando Bussi vive l’esperienza del primo conflitto mondiale in una condizione di prima linea, e attraversa tutte le difficoltà della disfatta di Caporetto quando, rotta la catena di comando, l’esercito italiano subisce uno spaesamento determinato soprattutto dalle incertezze dei generali.
Il dopoguerra è caratterizzato dai grandi conflitti sociali tra il movimento operaio ed il nascente nazionalismo. L’azienda ferroviaria è attraversata da queste lotte e finisce per diventare uno dei luoghi simbolici dell’affermazione fascista. Circa 50.000 dipendenti sono licenziati, essenzialmente per motivi politici, sotto l’impulso di un programma finalizzato alla razionalizzazione dei costi. I treni in orario erano una delle icone del regime.
Dentro questo contesto Luigi Velani percorre la sua carriera, facilitata dalla conoscenza che aveva casualmente fatto di Costanzo Ciano durante il primo conflitto mondiale e dalla sua capacità di mantenere un ruolo equilibrato tra il profilo tecnico, che lo caratterizzava, e gli equilibri politici, che erano governati dal Ministero delle comunicazioni.
Per tenere la posizione si iscrive al partito fascista, ma resta sempre fedele al principio di mettere in primo piano gli interessi dell’azienda Nel 1931 Luigi Velani diventa Direttore Generale delle ferrovie, l’ottavo dalla nascita dell’azienda autonoma nel 1905.
Armando Bussi, allineato ai principi mazziniani e cresciuto nella fede repubblicana, svolge il ruolo da quadro delle ferrovie in una condizione di sempre maggiore difficoltà, considerati i controlli politici che stringono attorno ad un cordone tutti i luoghi e tutte le persone appena sospettate di cospirazione. Riesce a mantenere un profilo culturalmente impegnato, resta distante dalle organizzazioni fasciste e si prepara ai momenti successivi del conflitto.
Velani prepara nel 1939 per Mussolini un rapporto nel quale spiega in dettaglio che le ferrovie non erano pronte per il conflitto bellico. Ma ormai non c’è nulla da fare. L’alleanza con il regime nazista conduce all’esito inevitabile. Comincia la tragedia più alta della storia nazionale.
Luigi Velani si destreggia con sempre maggiore difficoltà tra le ragioni della tecnica e le ragioni della politica. Riesce a tenere la posizione anche quando la ferrovia si divide, come il resto del Paese in due: il comando ferroviario della Repubblica di Salò è spostato a Verona. Velani diventa commissario del Ministero delle comunicazioni durante il governo Badoglio. Comincia la guerra civile.
Armando Bussi assume un ruolo protagonista nella guerra partigiana a Roma. Alterna la presenza nei comitati politici di coordinamento con un ruolo attivo negli attentati partigiani. Viene alla fine arrestato da uno dei componenti della famigerata banda Koch. Mentre è detenuto da un paio di settimane, accade l’attentato di Via Rasella ed Armando è uno dei detenuti destinati a far parte della terribile rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Riceverà la medaglia d’oro alla memoria.
A Luigi Velani toccherà, alla fine della Seconda guerra mondiale, affrontare diversi gradi di giudizio per evitare di essere condannato tra i collaborazionisti del regime fascista. Riuscì alla fine di uscire indenne dai giudizi. La ferrovia – tra partigiani, tecnici e fascisti – entrava nella democrazia.