Vi consiglio di vedere su Sky documentaries la docuserie Una squadra. A raccontare gli anni ruggenti, dal 1976 al 1980 quando l’Italia del tennis era la squadra da battere, sono gli stessi protagonisti: Barazzutti, Bertolucci, Panatta, Zugarelli. In quei cinque anni raggiungono la finale della Davis quattro volte, ma la vincono solo nel 1976 nel Cile di Pinochet. Capitano non giocatore Nicola Pietrangeli che verrà esonerato dai suoi stessi giocatori dopo la sconfitta in Australia nel 1977. Questa la storia, ma il documentario è molto altro. E’ la vicenda di quattro ragazzi che provenendo da famiglie modeste riescono con lo sport a farsi spazio. E’ la caratterizzazione psicologica di protagonisti molto diversi tra loro per interessi e personalità. E’ la storia di un’Italia che in quel decennio viveva anni di piombo. E’ la storia di un tennis ben diverso da quello odierno, a partire dalla racchetta di legno, ma molto più passionale ed appassionante.
Soprattutto, però, è la vicenda della partecipazione dell’Italia alla Davis in Cile che fa da sfondo a tutta la serie. Era il 1976, avevamo tutti assistito e partecipato emotivamente all’assalto alla Moneda, alla drammatica figura di Allende fatto uscire tra i militari con l’elmetto dalla residenza presidenziale. L’opinione pubblica, tutti noi giovani di allora, eravamo contrari a quella partecipazione sportiva che avrebbe dovuto segnare la nostra presa di posizione critica nei confronti di un golpe che tante vittime aveva fatto e continuava a fare. Eppure la squadra andò e vinse. Del resto il Cile aveva tennisti decisamente modesti che avrebbero dovuto scontrarsi con la Russia, che per evidenti motivi politici aveva rifiutato di ricevere in casa propria la squadra cilena e quindi aveva perso a tavolino l’incontro. Il Cile si trovò, quindi, in finale per puro caso e noi avremmo potuto trovarci di fronte ben altri avversari. Non per sminuire la nostra vittoria ma la politica fu determinante.
Dal torneo di Wimbledon 2022 i tennisti russi e bielorussi sono stati esclusi. I nostri ex del tennis si sono fatti sentire. Bertolucci: Decisione assurda. Barazzutti: Un’ingiustizia. Panatta: Agli Internazionali Roma non deve fare lo stesso errore. Oggi al Foro Italico giocherei con la maglietta ucraina. In riferimento alla maglietta rossa indossata provocatoriamente in Cile alla finale di Coppa Davis, anche se poi la televisione all’epoca trasmetteva in bianco e nero e la scelta di Panatta fu notata, al momento, solo dagli spettatori presenti.
Lo sport, rispetto alla politica, può o deve restare neutrale? E’ una discussione aperta. Il mondo occidentale riesce ad avere una forte ricaduta sulle scelte sportive, ma di fronte ad altre gravi violazioni dei diritti umani in paesi non europei non ha mai preso una posizione altrettanto forte. Si tratta di doppi standard che rendono decisamente contraddittorie le scelte delle organizzazioni sportive internazionali. Certo in un contesto internazionale lo sport può servire per segnalare il proprio dissenso nei confronti di uno stato e di un governo che viola i principi fondamentali del diritto internazionale, ma lo sport potrebbe essere anche la via della distensione, ricordiamo che in occasione delle Olimpiadi, in Grecia tutte le guerre venivano interrotte.
Se nel 1976 tifavo perché non si andasse in Cile, oggi faccio mie le parole del filosofo Edgar Morin: L’isteria antirussa, non solo in Ucraina ma anche in Occidente dovrebbe attenuarsi e sparire, così come si è spenta l’isteria nazionalista della Germania nazista e l’isteria antitedesca che identificava la Germania con il nazismo. La messa al bando di artisti, ballerini, registi e sportivi russi è vergognosa e deplorevole ed è un bene che, nonostante la richiesta dei cineasti ucraini, quelli russi non siano stati esclusi dal festival di Cannes.
Se vogliamo sperare nella distensione e nella pace, lo sport può fare la sua parte.