Lo specchio, anzi gli specchi, è al centro della narrazione del nuovo libro di Alessandro Ghebreigziabiher, Specchi delle nostre brame, Edizioni Bette, 2024.
Oggetto di uso comune nelle nostre case ma che per la sua qualità riflettente apre ad una serie di riflessioni sulla realtà e l’apparenza delle nostre vite, lo specchio è definito da Foucault luogo non luogo, dove finzione e realtà si incontrano e si confondono, mezzo adatto a sviscerare gli aspetti più nascosti delle nostre vite. Ed è proprio in questo senso, con questo potente strumento di decodificazione, che l’autore ci propone una vicenda in cui i personaggi reali e gli specchi che li riflettono vivono in continua connessione. Anzi spesso sono gli specchi stessi, che parlano con noi e tra loro, lo specchio del bagno, quelli delle camere da letto, quello dell’ingresso, ad offrirci una lettura più vera del vero esistere.
Il libro, con la prefazione di Emanuela Pulvirenti, che nel 2011 ha aperto il blog Didatticarte importante sito di divulgazione artistica, trae ispirazione dal mistero che ancora avvolge il dipinto Ritratto dei coniugi Arnolfini, opera che risale al 1434, realizzata dal pittore Jan van Eyck. Nel dipinto, capolavoro dell’arte fiamminga, occupa un posto centrale tra i due coniugi uno specchio convesso che ci rivela la presenza di altre due persone nella stanza, forse lo stesso pittore che si firmò asserendo di essere stato lì.
Mario, il padre della protagonista della nostra storia, Fabiola, si convince di essere un diretto discendente di Arnolfini, dato il mistero che avvolge la sua nascita, e commissiona per la sua casa di Lucca uno specchio uguale a quello del dipinto. Morto Mario, uomo difficile con turbe psichiche, e morta la moglie Francesca, per overdose, la casa passa in eredità all’unica figlia Fabiola che da Roma vi si trasferisce con tutta la famiglia, composta da Michel il marito e i tre figli, Sara, Luigi e Benedetta, adolescenti che si vedono improvvisamente strappati alle proprie abitudini ed ai propri amici. Da questo antefatto prende il via un percorso di vita in cui le vicende famigliari vengono lette anche dagli specchi, con tutte le deformità e la parzialità che una visione limitata dei luoghi offre ai riflettenti. Il romanzo alterna capitoli strettamente narrativi ad altri di riflessione sugli stessi, compito attribuito appunto agli specchi che in discorso diretto leggono i fatti secondo la propria visuale e la commentano. Questo significa che il punto di vista cambia anche se i fatti sono sempre gli stessi. Ecco perché la trama non è particolarmente articolata, anche se ci sono momenti di accelerazione nella vicenda specie nella parte finale e delle reiterazioni, perché compaiono a commentare le storie personali dei protagonisti tutti gli specchi di casa. Si genera nel lettore una certa assuefazione per la ripetizione, anche se da altro punto di vista, di ciò che accade. Lo spunto è decisamente interessante anche se non nuovo nella narrativa se pensiamo a Gogol, Il naso, o Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, o Pirandello, Uno, nessuno e centomila, in cui la funzione dello specchio assolve un ruolo determinante per l’evolversi della storia. Qui gli specchi sono solo testimoni, inerti ma partecipi delle emozioni, testimoni del passato della casa e della storia dei suoi abitanti passati e presenti.
L’autore in questa scelta narrativa ha forse messo in essere il suo percorso formativo. Laureato in informatica ma anche operatore terapeutico in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti ha voluto, forte della sua esperienza in realtà difficili, darci un messaggio: non dare mai un’interpretazione rigida ed univoca alle azioni nostre e degli altri perché esse, se lette allo specchio, offrono tante variabili interpretative che possono consentire di limare, correggere e mutare le scelte fatte. E la vita è una continua scelta, un continuo ripensamento, un inarrestabile mutare.
Noi specchi siamo i soli a percepire il riverbero di quel mirabile miracolo chiamato esistenza (pag.238).