Al San Ferdinando, il glorioso teatro di Eduardo, è tornato Pirandello, con Sei personaggi in cerca d’autore, in versione adattata, rielaborata e ridotta anche nel titolo, infatti lo spettacolo si chiama Sei, realizzato nell’ambito del Napoli teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio, prodotto dalla Compagnia Scimone/Sframeli, Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo Stabile di Palermo, Théâtre Garonne-scène européenne Toulouse, andato in scena il 23, 24, 25 giugno.
Premetto che sono sempre un pò scettica circa le rivisitazioni dei classici, spesso le modernizzazioni alterano il messaggio, in uno sforzo inutile di mutamento, che non produce nessun aumento valoriale a quanto dice il testo originale. In questo caso, però, sono stata costretta a ricredermi.
Cominciamo dalla struttura: lo svolgimento della commedia impegna circa un’ora e venti minuti, in un solo atto. Del resto, già Pirandello aveva previsto che il sipario non si abbassasse mai e che ci fossero solo delle interruzioni a scena aperta. Il regista ha quindi colto l’essenza del testo adattandolo alla diversa attuale capacità di concentrazione, che è molto ridotta, pur mantenendo, nella sua interezza, il contenuto semantico della commedia. Essa è tutta dedicata ai conflitti che concorrono a dar vita allo spettacolo teatrale cioè ai conflitti tra autore, capocomico o regista, attori, spettatori, critici. Insieme con Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto fa parte della cosiddetta Trilogia del teatro nel teatro. Se nella versione pirandelliana dei Sei personaggi in cerca d’autore, i sei sopraggiungono mentre la Compagnia sta provando il Giuoco delle parti dello stesso Pirandello, qui in Sei abbiamo una compagnia formata da due attori, due attrici e il capocomico che stanno per iniziare la prova di uno spettacolo di cui non hanno ancora neanche il copione. All’improvviso in sala, per un corto circuito, manca la luce che ritornerà solo con l’arrivo dei sei personaggi che sperano che qualcuno dia finalmente una conclusione al loro dramma e chiedono agli attori di rappresentarlo. Da questo momento il testo seguirà le orme di quello Pirandelliano.
Profondo è stato il lavoro operato, all’inizio, sul linguaggio degli attori che stanno preparando la commedia: le loro battute sono strutturate in modo da essere circolari cioè il concetto espresso all’inizio ritorna alla fine come se tornasse su sé stesso. La circolarità linguistica a mio avviso fa proprio riferimento al contenuto pirandelliano del teatro che parla di sé, in un processo speculare di riflessione sulla funzione del teatro e sul senso del lavoro attoriale e autoriale: la forma teatrale è assolutamente inadeguata a rappresentare i drammi umani, anzi nella interpretazione degli attori si allontana dal senso che l’autore ha dato ai suoi personaggi. L’evoluzione del dramma è nota, il dibattito rimarrà aperto e i personaggi ancora una volta non troveranno soluzione al loro dramma. La commedia è datata 1921 ma conserva intatta tutta la sua carica emotiva e concettuale.
Veniamo ora alla compagnia messinese che ha osato mettere le mani su un mostro sacro. Attori di grande talento (Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber, Bruno Ricci, Francesco Natoli, Mariasilvia Greco, Michelangelo Zanghì, Miriam Russo, Zoe Pernici), che hanno saputo far rabbrividire nei momenti clou del dramma. Le urla disperate della Madre o la risata isterica della Figlia hanno turbato il pubblico che, nonostante la complessità del periodare pirandelliano sono stati particolarmente attenti a dimostrazione che i classici sanno sempre toccare le corde giuste.
Non guasta il fatto che la Compagnia Teatrale Scimone/Sframeli sia siciliana: l’accento siculo si sentiva e sembrava dare ancora più realtà al testo e vicinanza all’autore. Scimone e Sframeli hanno un lungo e importante trascorso di scrittura e messa in scena. Nel 1997 Spiro Scimone vince il Premio UBU come nuovo autore e Francesco Sframeli come nuovo attore. Nel 2002 con il Film “DUE AMICI” vincono il Leone d’oro come migliore opera prima alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel 2004 con IL CORTILE vincono il Premio UBU come miglior Testo Italiano e nel 2009 con PALI vincono il Premio UBU come migliore novità italiana.
L’approccio al testo è stato quindi consapevole e ragionato: tuttavia mi è piaciuto molto anche la capacità di Sframeli, che interpretava il Padre, in piena recitazione, di richiamare uno spettatore con il cellulare acceso o di augurare salute ad un altro che starnutiva. Mi è sembrato segno di grande professionalità nel tenere la scena e nel risolvere situazioni imbarazzanti con l’arte tipica delle rappresentazioni a soggetto.
Pirandello non si è, quindi, rivoltato nella tomba e noi spettatori siamo stati soddisfatti di aver partecipato ad un rito che attualizza il nostro grande drammaturgo.
di Piera De Prosperis