Qualche giorno fa mi ha colpito una notizia di cronaca che qui vi riporto nelle sue linee essenziali.
Operazione contro la droga a Napoli e Caserta. Sette persone nei guai, tra queste Vincenzo Sacchettino, 24 anni, protagonista della serie “Gomorra” nella quale interpretava Danielino, il ragazzino ingaggiato da Ciro Di Marzio per ammazzare un uomo del clan di Conte, finendo poi ucciso da quest’ultimo in una drammatica e iconica scena. Sacchettino era già finito in carcere nel 2019 per droga (napolitoday, 11 maggio 2022).
E siamo già al quarto arresto dalla fine delle riprese di Gomorra. Chi all’epoca non provò compassione per il giovane meccanico fatto fuori da una belva umana come Salvatore Conte? Chi non ha mai pronunciato la frase ‘Viene’t a piglià o’ perdono’, ovviamente scherzando e parodiando i personaggi della fortunata serie?
Eppure oggi che la realtà supera la finzione si avverte un senso di impotenza e di compassione nei confronti di un ragazzo che nemmeno la notorietà, seppure breve, ha potuto salvare dalle grinfie di una vita soggetta alle regole malavitose. In realtà sociali in cui la scuola non riesce ad essere incisiva, l’abbandono scolastico è altissimo, i discorsi politici sono visti solo come proclami elettorali, l’unica forma di legame interpersonale è rappresentato dall’appartenenza alla camorra. Le associazioni sul territorio lottano da anni cercando di offrire luoghi di incontro che non siano le piazze di spaccio, utilizzando, ad esempio, strutture confiscate per dare vita a palestre o biblioteche. I progetti si moltiplicano. Ma tutto questo ancora non basta. L’unico valore i soldi, il motorino per le stese e gli scippi, il rispetto dell’altro cercato come elemento indispensabile di riconoscimento nel contesto di appartenenza.
Danielino è tutto questo. A soli 24 anni, il giovane attore ha già una carriera criminale di tutto rispetto che nelle nostre carceri sovraffollate non può che trovare ulteriore humus. La sua formazione alle regole della Gomorra vera è partita da lontano, forse proprio da quella infanzia segnata da modelli comportamentali altri rispetto alla nostra normalità. Modelli che la società civile non riesce a sostituire. Forse ancor prima che sui bambini bisognerebbe lavorare sulle madri che spesso sono l’anello di congiunzione e di trasmissione della cultura malavitosa. «Io se perdo un minuto ho perso un ragazzo, perché in quel minuto viene qualcun altro che con uno sguardo è capace di portarselo via». Nelle parole di Eugenia Carfora, preside in trincea in un istituto del Parco Verde di Caivano, tutta la necessità di fare presto, perché il malaffare non aspetta, ha bisogno di continuo ricambio di manovalanza e gli adolescenti sono la preda più facile ed ambita.
Una vittima, quindi, Danielino, nella fiction. Ma ancora più vittima Vincenzo Sacchettino cui dovremmo chiedere il perdono per non aver fatto presto, per non avergli creato altre ambizioni, per essere stati incapaci di offrirgli quelle opportunità di crescita e formazione che ogni giovane merita.