Abbiamo un Presidente del Consiglio incaricato. Non aggiungo finalmente, perché non credo che agli Italiani fosse venuto il ballo di San Vito per l’ansia dell’attesa, però era ora. La trafila non è ancora completa, mancano i passaggi della nomina dei Ministri e della fiducia da parte delle Camere, ma, al netto di clamorosi colpi di scena, andrà tutto liscio. La maggioranza politica c’è.
Si sentono i sospiri di sollievo da parte dei parlamentari, soprattutto di opposizione, il posto è salvo, dopo tutti i sacrifici fatti per averlo e senza alcuna garanzia neanche di poterci riprovare. Al Senato ci sono solo sei voti di margine, ma, se dovesse nascere qualche problema, vedrete quanti “responsabili” pronti ad appoggiare il Governo usciranno fuori. Come dice Verdini, il Governo è un grande collante.
Che tipo di maggioranza si è formata? Si dice “populista”. Come è stato tacciato di essere a suo tempo Berlusconi e, più recentemente, lo stesso Renzi. Viene il dubbio che non significhi niente.
Senza scomodare il movimento populista russo, che a fine ‘800 si faceva paladino dei contadini e dal quale trae origine il termine, in politica il concetto di populismo è associato alla demagogia e al velleitarismo, in un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse.
Qui, di capi carismatici non si vede neanche l’ombra, le masse latitano e in ogni caso il rapporto è mediato da centinaia di deputati e senatori. Il velleitarismo non so, forse, il programma di governo dice poco, a meno di vaghe promesse senza copertura economica, esattamente come negli ultimi decenni con maggioranze politiche le più varie. La demagogia si, certamente, in buona compagnia con mezzo mondo.
Nulla di nuovo allora? Non proprio. La Terza Repubblica è di là da venire e lo stile con il quale si è raggiunto l’obiettivo è stato assolutamente da Prima, però i 5Stelle in sé rappresentano una novità, come pure il contesto geopolitico nato dall’alleanza con la Lega.
Forse cercheranno davvero di correggere gli eccessi della legge Fornero, del sistema fiscale e del jobs act, forse. A debito? Perché no. La propaganda ci ha ormai convinto che il debito dello Stato, peraltro in gran parte contratto con i cittadini italiani, sia il nostro debito personale. Non è proprio così. Ci sono Stati col bilancio in ordine e il popolo in mutande. Imprese che distribuiscono utili e licenziano i lavoratori. Non è automatico il rapporto tra il benessere dei cittadini e la salute dei conti pubblici.
Ovviamente, bisogna saperci fare e andarci cauti, auspicando che non ci siano interessi forti che pilotino dall’esterno, se non nei limiti della fisiologia. Non è detto che sia così ed anzi i primi segnali non sono incoraggianti. Anche a tacere dei curricula gonfiati (andava mai all’idea che un giorno avrebbe fatto il Presidente del Consiglio?), approssimazione, fughe in avanti e personaggi impresentabili non mancano.
Però non è detto che sia così indicativo. Abbiamo esperienza di amministratori improbabili che hanno dato buona prova di sé e acclamati esperti da scansa chi coglie.
Stiamo a vedere, senza nutrire troppe aspettative, ma senza preconcetti. Anche perché, gli uni e gli altri, non servono a niente.
di Flavio Cioffi