I piani di rientro sono programmi operativi di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del sistema sanitario regionale. Vengono istituiti con la legge finanziaria del 2005 e fanno parte degli accordi stipulati tra Regioni, Ministero dell’Economia e Ministero della Salute. I piani di rientro devono garantire il raggiungimento dei LEA (livelli essenziali di assistenza) e la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario regionale. Storicamente la spesa sanitaria pubblica in Italia ha avuto un andamento incostante nel tempo. Con la stipula del trattato di Maastricht il Governo cercò di contenere il più possibile la spesa pubblica così da raggiungere i fondamentali economici necessari ad accedere all’unione monetaria. Dopo aver superato l’esame europeo la spesa sanitaria è ritornata ad aumentare mentre il PIL ha iniziato a ridursi, con il risultato che il rapporto tra spesa sanitaria e PIL è passato dal 5% del 1995 al 7,3% del 2009. In questo contesto storico, politico ed economico nacque la necessità di creare strumenti, concordati tra Stato e Regioni, per controllare la spesa sanitaria regionale.
La disciplina sui piani di rientro trova la sua sistematizzazione nella legge finanziaria del 2010 e nel patto della salute 2010-2012. Una Regione è tenuta a sottoscrivere un piano di rientro se il disavanzo supera il 5% del finanziamento ordinario. Oppure se il disavanzo non supera il 5% ma né gli automatismi fiscali (aumento IRPEF e IRAP) né altre risorse del bilancio regionale permettono la sua integrale copertura. L’attuazione del piano di rientro viene monitorata periodicamente dal Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali presso il MEF e dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA. In caso di inadempienza della Regione il Consiglio dei Ministri, attuando l’articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario ad acta. Che può essere o meno il Governatore della Regione. Le Regioni che hanno sottoscritto piani di rientro sono l’Abruzzo, la Campania, la Calabria, il Molise, il Lazio, la Puglia e la Sicilia. Mentre le Regioni commissariate sono la Calabria e il Molise. Nel 2020 la sanità campana e quella laziale sono uscite dal regime commissariale.
È sicuramente vero che i piani di rientro e i commissariamenti hanno ridotto i disavanzi sanitari regionali. Ma è anche vero che la riduzione dei disavanzi non è stata determinata tanto dall’efficientamento e dalla razionalizzazione del sistema sanitario regionale quanto da tagli lineari alla spesa per il personale (medici e infermieri), dal blocco del turn over, dalla riduzione dei posti letto e dalla chiusura o ridimensionamento di piccoli presidi ospedalieri. Nel decennio 2010-2019 tra tagli e definanziamenti sono stati sottratti 37 miliardi di euro al SSN.
Bisognerebbe correlare l’attuazione dei piani di rientro e dei commissariamenti con l’aumento delle liste d’attesa e con l’aumento della spesa sanitaria “out of pocket”, cioè la spesa fatta dalla popolazione di propria tasca. Nel 2015 il CENSIS, riferendosi alle condizioni generali della sanità italiana, scrive che “nell’ultimo anno si sono allungate le liste d’attesa, 20 giorni in più per una RM del ginocchio (da 45 a 65 giorni), 12 giorni in più per un’ecografia addominale (da 58 a 70 giorni), 10 giorni in più per una colonscopia (da 69 a 79 giorni). Pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alle prestazioni in tempi realistici”. Se l’aumento delle liste d’attesa e l’aumento della spesa “out of pocket” ha interessato anche le regioni “virtuose” e non interessate dai piani di rientro, si può facilmente immaginare cosa sia accaduto nelle regioni soggette a piano di rientro, che hanno ridotto il personale sanitario, che subiscono il blocco del turn over, che hanno visto chiudere ospedali e ridurre i posti letto. Tra l’altro le regioni in piano di rientro spesso aumentano l’IRAP e l’addizionale IRPEF, gravando maggiormente sulle tasche dei contribuenti.
Chiunque abbia a cuore il bene del nostro Paese non può non contemplare la disciplina di bilancio come uno strumento necessario nella gestione della cosa pubblica, gli anni della spesa pubblica incontrollata sono ormai passati e ne pagheremo i danni per decenni. In quest’ottica il contenimento della spesa attraverso i piani di rientro e i commissariamenti è una misura ineludibile, inutile negarlo. Bisogna tuttavia temperare le esigenze di bilancio con la legittima richiesta di salute della popolazione, di una popolazione sempre più povera, sempre più anziana e quindi sempre più malata. Un sistema sanitario in cui il cittadino sa di dover ricorrere alla visita intramoenia o privata per poter effettuare un esame specialistico in tempi ragionevoli non risponde a pieno ai principi di universalità, uguaglianza ed equità su cui si fonda il nostro SSN.