La mia estate americana, un viaggio on the road lungo la West Coast, inizia a San Francisco. La città più liberal d’America, dal passato hippie e della controrivoluzione giovanile degli anni Sessanta. Una città che affascina anche per la storia che ha alle spalle (in America non è così scontato), poi la natura fa il resto. È la città della nebbia, del vento e della pioggia, anche in piena estate, il freschetto si fa sentire. “L’inverno più freddo che io ricordi è stato un’estate a San Francisco”, pare abbia detto Mark Twain. In realtà, la nebbia mattutina rende l’atmosfera della città più misteriosa, nel pomeriggio la temperatura diventa mite e il cielo azzurro.
Città simbolo e simbolica, in continua evoluzione di epoca in epoca, ha acquisito significati precisi per individui e gruppi anche molto diversi fra loro, ma sempre all’insegna di nuove opportunità e processi innovativi. Per le stesse ragioni, San Francisco è anche una città ricca di contrasti spesso difficili da comprendere; almeno fino a quando non si riesce a cogliere la grande tolleranza che ha fatto da ideologia fondante della sua vocazione.
Non è solo la città più liberal d’America, ma anche la più europea, grazie al suo centro che si può girare a piedi e ai quartieri che mantengono il fascino bohemien della beat generation, della cultura hippy e dello street style. E anche per quelle case in legno, le più famose della città, abitazioni in puro stile vittoriano, decorate con colori sgargianti, una accanto all’altra nel quartiere di Alamo Square. Colpiscono per l’eleganza raffinata ma anche stravagante, su uno sfondo da cartolina che è parte integrante della identità culturale della città.
Per cogliere veramente San Francisco non c’è niente di più tipico di un giro sul Cable car, un tram sferragliante che si sposta senza bisogno di un motore, ma grazie a un cavo mosso da una fune metallica sotterranea a una velocità costante, a cui la cabina si aggancia in superficie. Un mezzo adatto ai sali e scendi di San Francisco, da prendere al volo tra i suoni delle campanelle e le urla degli “autisti più pazzi del mondo”. Indimenticabile!
Altrettanto indimenticabile è stato vedere girare per San Francisco automobili senza conducente, proprio così: auto che si guidano da sole. Sono taxi a guida autonoma, della società Waymo, che tramite una app si chiamano e la vettura viene a prenderti per portarti a destinazione. Ci vuole coraggio, (a me è mancato) ma chi l’ha provato dice che fa una certa impressione vedere il volante muoversi da solo e l’auto destreggiarsi in maniera agile nel traffico urbano. Pare che molti abitati di San Francisco non amino particolarmente i taxi di Waymo e non sono mancate proteste e tentativi di sabotaggio.
Un intero pomeriggio lo si può dedicare al SF Moma, il museo di arte contemporanea. Intendiamoci, non è come il Moma di New York, ma comunque degno di visita, soprattutto per l’architettura esterna che è un autentico gioiello di progettazione. La mission del museo è semplice: dare linfa al nuovo e incoraggiare modi diversi di vedere, sentire e rapportarsi con il mondo, attraverso sette piani di esposizione che abbracciano ogni forma d’arte, dalla fotografia alla scultura, dalla pittura all’architettura e al design. A dirla tutta, i contenuti talvolta lasciano un po’ perplessi, ma in fondo è anche questo il fine dell’arte contemporanea.
Non delude nessuno invece, il Fisherman’s Wharf e i vicini Pier che offrono svago e stimoli interessanti per tutti i gusti come il sottomarino USS Pampanito. Vederlo fa pensare a “Caccia a ottobre rosso” e atmosfere da guerra fredda. Lungo la strada principale molti chioschi servono frutti di mare freschissimi, le specialità sono le vongole e il granchio. Qui è il luogo dove assaggiare la più tradizionale clam chowder, la tipica zuppa di vongole servita all’interno di una pagnotta svuotata, sublime!
L’immagine però, più rappresentativa di San Francisco è il suo ponte rosso. Il Golden Gate Bridge che sovrasta il braccio di mare che collega l’Oceano Pacifico con la Baia di San Francisco. Visitare San Francisco d’estate significa vedere il ponte avvolto dalla nebbia, che qui è talmente amata quasi fosse un essere vivente che da secoli abita la città. La nebbia estiva poi è bianca e soffice, fluttua leggera e si sposta rapida. Arriva e poi sparisce. Diventa densa e poi si dirada, scoprendo le spiagge, le cime di grattacieli e i ponti. Perché sulla baia non c’è solo il Golden Gate e, sebbene non attiri la stessa attenzione del suo famoso fratello, c’è anche il Bay Bridge che è un ponte bianco e spettacolare di per sé con le sue luci che si accendono appena cala il sole.
Ma a San Francisco non c’è solo tanta iconica bellezza, c’è qualcosa che intristisce e rende cupa una città considerata un faro fino a qualche decennio fa. Lo si scorge nelle catene di negozi e farmacie che chiudono i battenti perché sfinite dai furti continui che avvengono in pieno giorno. Dai grandi hotel che chiudono per mancanza di clientela. E’ l’esercito degli homeless, dei senza tetto, che rappresenta una delle ferite sociali più visibili e intrattabili della città. L’epidemia di senzatetto di San Francisco è in gran parte il risultato dei noti problemi di tossicodipendenza e malattia mentale. Ma un problema particolare è il rifiuto di perseguire i reati di droga. Nel 2014 la Proposition 47 della California ha di fatto depenalizzato il consumo di droga e il furto fino a 950 dollari. I comuni non possono usare la minaccia del carcere per indurre i tossicodipendenti a sottoporsi a cure. Se non vogliono curarsi è un loro sacrosanto diritto e la comunità dei cittadini deve subirne le conseguenze senza lamentarsi.
Anche noi viaggiatori che non vogliamo rinunciare al fascino di San Francisco dobbiamo far finta di niente passando per marciapiedi “abitati” dagli homeless. Molti hanno creato veri e propri accampamenti vicino a zone residenziali ed attività commerciali. Questi accampamenti creano sporcizia e crimine, ma sono tollerati, e spesso aiutati e protetti dalle amministrazioni locali. Alcuni tra loro sono distesi a terra, tra veglia e sonno, adagiati tra i rifiuti. A terra si vedono giocattoli rotti, bottiglie, siringhe e contenitori di alluminio con resti di cibo. E carrelli della spesa diventati armadi. È vero, San Francisco ispira sempre sentimenti forti. Questo forse è così forte che avremmo voluto evitarlo, un vero pugno allo stomaco.