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San Berlinguer, di Marcello Sorgi

by Bruno Gravagnuolo
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L’ultimo libro di Marcello Sorgi, San Berlinguer (Chiare Lettere), ci conferma in alcune convinzioni. Da più di 30 anni coltivate ed espresse…a chiare lettere. La prima maturata dopo la lettura dei saggi di Bobbio su Marx e dottrina dello Stato: non c’è dottrina se non democrazia assembleare e giacobina in Marx. Che c’entra con Berlinguer? C’entra perché la democrazia come valore universale- da lui teorizzata nel 1974- poneva il tema stato di diritto e comunismo. E infatti Sorgi racconta di quando proprio nel 1974 Berlinguer disse ad Occhetto a bruciapelo: “Che ne diresti di cambiare nome”. E di rimando Occhetto: “PC democratico italiano”. No, chiude Berlinguer “Così vorrebbe dire che fin qui non lo fummo democratici”.

Insomma benché di Occhetto si possa dubitare su certe cose pro domo sua, il tema c’era eccome. E dunque Marx Lenin, il modello dell’Ottobre non andavano d’accordo con lo stato di diritto reputato una sovrastruttura borghese da cancellare con dittatura democratica o soviettismo, e con partito unico della democrazia diretta. Una dittatura di partito plurale al più al suo interno fu il leninismo, ma, come sostenne Giuliano Procacci su Critica Marxista proprio in quegli anni, matrice dello stalinismo frutto del partito Stato giacobino.

Dunque anche per via del palese irrigidirsi del socialismo reale Berlinguer rimuginava in tal senso senza trascurare la sua acuta percezione dello scacco a cui era esposto ogni governo col PCI dentro in Italia, dopo il Cile, Praga, e nel quadro dei blocchi geo politici. Di qui la scommessa euro comunista né antisovietica né antiamericana, naufragata con l’eliminazione di Moro ancora avvolta di misteri tra trame ovest ed est. Perciò il cambiamento del nome si poneva, come viatico ad una diversa collocazione del PCI e a un suo radicamento diverso rispetto alla terza internazionale, da cui il partito nacque. L’idea non era nuova. Piu volte Amendola la propose: partito unico della classe operaia, partito né social democratico né leninista. Tra dopoguerra, 1964 e 1968. Ma fu sempre lasciata cadere. Ora alle soglie della grande avanzata comunista di metà anni 70 Berlinguer ci ripensava. Ma anche lui accantonò’ il tema. Magari in lui era solo un esperimento mentale. Un’ipotesi per vedere l’effetto possibile sui compagni più fidati come Occhetto, sinistro allora radical ingraiano, ma uomo di partito leale. In seguito, Berlinguer battuto su Moro e il compromesso storico sostenne due cose chiare. E cioè: la fine della spinta propulsiva della Rivoluzione di Ottobre, lo strappo del 1982. Che non cancellava affatto il leninismo originario e anzi ne rivendicava la creatività pur esaurita. E poi sostenne e disse a più riprese, sotto l’incalzare del revisionismo Craxiano, che il PCI restava comunista: “Le nostre posizioni sono note, siamo e resteremo comunisti!”. Nel 1984 Berlinguer muore sul campo. In una fase di ripiegamento e arroccamento del PCI che continuerà a inseguire l’alternativa democratica per un nuovo governo di solidarietà nazionale, contro una unità delle sinistre in alleanza con Craxi o subalterna al PSI. Berlinguer voleva infatti riprendere il filo strappato dal caso Moro nel 1978 e non intendeva né cambiare nome né strategia. Cinque anni dopo, scoppia il fatidico 1989. Di fronte al quale il segretario non avrebbe potuto restare impassibile. Il muro che cadeva, Tien An Men, lo stesso Gorbaciov che parlava ormai di socialismo democratico e distinzione partito Stato con pluralismo post-comunista e post-leninista. Bene. Inevitabilmente la questione della ricollocazione “orientale” dell’Ottobre 1917- ne parlò già Occhetto nel 1986- e del nuovo nome del PCI che si ridefiniva a sua volta, si sarebbe di nuovo imposta alla mente di Berlinguer. Non è possibile stabilire che posizione avrebbe egli assunto nel 1989 a riguardo: conferma, ripudio del nome, accantonamento con simbolo Pci in basso come nel PDS di Occhetto. Un nuovo inizio nel segno del socialismo tipo Partito della democrazia socialista. Di nuovo partito democratico comunista o Partito comunista democratico. Non lo sapremo mai. A meno di folgoranti e improbabili fonti fin qui celate. Ma di una cosa siamo arcisicuri. Berlinguer pur nel tentativo eventuale di rivoluzionare nome simbolo storia e identità di quel partito, non ne avrebbe fatto un partito di opinione radicale di massa. Come fu il PDS, già predisposto nel suo Dna per sfociare in un Partito democratico senza altri aggettivi. Ma lo avrebbe ridefinito ancora nel solco storico del movimento operaio e del lavoro pur nell’orizzonte dei temi planetari dell’ambientalismo, dell’automazione, dei nuovi diritti civili di massa. Della legalità e della questione morale da lui anticipata. Avrebbe tentato, cioè, di mantenere il buono e il nuovo che già aveva il PCI fin dagli anni 80. Senza derive neoliberali né buttare bambino e acqua sporca come invece per tanti versi avvenne con la pur necessaria svolta di Occhetto.