L’Autore è Presidente dell’UCSI, l’Unione dei Consorzi Stabili Italiani.
Entro la settimana dovrebbero essere diramate dal Governo le direttive per un allentamento delle misure di lock down. La ormai famosa Fase 2 che dovrebbe partire il 4 maggio.
Appare sempre più centrale l’idea – che l’UCSI condivide – della necessità di riaprire rapidamente i cantieri di costruzione, garantendo allo stesso tempo un ambiente di lavoro sicuro, per i lavoratori e per gli imprenditori, attraverso un protocollo unico e conforme alle raccomandazioni nazionali in materia di salute, sicurezza e igiene.
Le parti sociali, che hanno già concordato misure di indennità di disoccupazione temporanea o misure alternative per i lavoratori che non ne hanno diritto, dovranno altresì concordare protocolli sanitari, di sicurezza e di igiene adeguati all’emergenza. Senza che questo diventi occasione per blitz punitivi, quindi in ottica di collaborazione e non di repressione.
Il supporto dei Comitati paritetici territoriali costituirà un sostegno fondamentale nell’attuazione delle misure in azienda per ripartire.
E’ però evidente come l’applicazione di ulteriori (anche se necessari) protocolli di sicurezza può causare una riduzione della capacità produttiva, con conseguente aumento dei costi di produzione. Sarà quindi fondamentale escogitare un meccanismo di compensazione economica nei lavori ancora in corso, e di adeguamento dei prezzi nei lavori in via di affidamento.
Una volta ripartiti i cantieri, occorrerà poi implementarne il numero in modo da recuperare il terreno perduto e riguadagnare i punti di PIL persi nel periodo emergenziale. Che peraltro segue ad un ventennio già quantomeno deludente. Ci sono decine di opere pubbliche finanziate e mai decollate che non possono subire ulteriori ritardi.
Infatti, la forte ripartenza del settore delle costruzioni è indispensabile per l’intera economia italiana. Nel passato ci sono stati vari esempi di crisi economiche affrontate e risolte proprio grazie agli investimenti pubblici nelle infrastrutture. La Grande Depressione americana risolta con il New Deal da Roosevelt ne costituisce l’esempio più citato. Anche oggi i più auspicano che si vada in questa direzione.
L’Italia, però, si trova da tempo in una strana situazione, nella quale alla consapevolezza della carenza infrastrutturale che ne limita da tempo la capacità competitiva, si contrappone una annosa difficoltà a far decollare i lavori, anche quelli già finanziati. Occorre trovare il modo di realizzare le opere già indicate come prioritarie e finanziate. Le cause dei ritardi sono state individuate e discusse, ma mai risolte.
Purtroppo, in Italia i controlli sulle procedure di affidamento sono complessi e farraginosi, gli Enti appaltanti innumerevoli e la burocrazia imperante. Ovviamente i controlli sono indispensabili, ma non devono determinare il ritardo o addirittura il blocco dei lavori.
L’obiettivo primario deve essere quello di appaltare rapidamente i lavori, al prezzo giusto, e assicurarne la corretta e tempestiva esecuzione. Per raggiungerlo, appare necessario uno snellimento della normativa di settore.
Lo ripeto: l’investimento infrastrutturale costituisce la via principale per uscire dalla crisi. Non solo per l’immediata e importante ricaduta occupazionale dovuta alla riattivazione di tutta la connessa filiera produttiva, ma anche perché le infrastrutture realizzate diventano fondamentali per lo sviluppo della capacità produttiva dell’intero Paese.
Senza contare che il mondo “post coronavirus” avrà probabilmente bisogno di maggiore spazio: sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nella sanità, nei trasporti. Avrà certamente bisogno di opere di tutela del territorio, di salvaguardia ambientale, di adeguamento energetico ed antisismico. E questi spazi e queste opere vanno realizzati.
Insomma, ci sarebbe (ci sarà) tantissimo da lavorare.