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Rigenerazione urbana e caro affitti universitari

by Piera De Prosperis
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Ilaria Lamera, studentessa universitaria di Milano, ha protestato contro il caro affitti mettendo letteralmente la tenda, simbolo di nomadismo e di precarietà, davanti al Politecnico. L’esempio della novella Greta, fatte salve le differenze di obiettivi, è stato seguito in gran parte delle città italiane: la mobilitazione degli studenti è avvenuta a Roma, Pavia, Padova, Venezia, Bologna, Perugia, Firenze, Napoli e non intende fermarsi. Il problema è annoso e noto. I giovani che intendono studiare fuori sede pagano un canone di affitto, per situazioni abitative assai mediocri, molto alto. Si parla per Milano di 628 euro di media al mese per una stanza singola, 467 a Bologna, 452 a Roma. Ma le altre città non sono da meno e la protesta, una volta appiccata, si è estesa dinanzi a tutti gli atenei.

Sono intervenuti il Ministro Valditara e la Ministra Bernini che ha prospettato l’ipotesi di un censimento degli immobili disabitati per metterli a disposizione degli studenti. Il Governo avrebbe già messo 400 milioni sugli alloggi per i giovani e 500 milioni per le borse di studio. Faremo, diremo, risolveremo, anche con i fondi del PNRR.

E’ evidente che l’Università, in queste condizioni, non è per tutti. Ancora una volta parliamo di diseguaglianza. Solo famiglie abbienti possono permettersi di mantenere fuori sede un figlio. Per una serie di motivi. Il rialzo dei mutui per comprare casa ha spinto in alto gli affitti. La domanda è enormemente superiore all’offerta. Le università, per giunta, si trovano in genere nei centri storici delle città dove trovare alloggio è sempre stato difficile ed oneroso. Con il boom turistico post covid per i proprietari di immobili è diventato decisamente più redditizio fittare per brevi periodi nella formula ad esempio del B&B. Perché affittare ad uno studente quando in un tempo estremamente inferiore si guadagna la stessa cifra con i turisti? E che importa se i centri storici si spopolano dei residenti.

Ci sono soluzioni? Avviare un serio censimento degli immobili inutilizzati, magari sperimentando soluzioni diverse. A Milano, ad oggi circa 20mila appartamenti pare siano vuoti: un numero di case che potrebbe potenzialmente aiutare a rispondere a questa fame di abitazioni. Ma quanto è possibile pensare a soluzioni in tempi brevi? Al più, al momento, si possono prevedere bonus, facilitazioni ma il problema rimane ed è di ampia portata. Forse la prossima generazione di studenti universitari potrà avvantaggiarsi se vi sarà una pianificazione di interventi e non si ricorrerà a soluzioni tampone.

Lo scorso anno il prof. Alessandro Bianchi, urbanista, già ministro dei trasporti nel secondo governo Prodi e Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, curatore della rubrica Polis su questo giornale, in un suo intervento alla Scuola di rigenerazione urbana sostenibile – La Fenice urbana, sottolineava l’esistenza in Italia di un patrimonio edilizio immenso dismesso e in degrado, con tutto quello che ne consegue per le Amministrazioni in termini di gravame economico. La sua proposta non si formulava in concetti di ristrutturazione, risanamento o riqualificazione, termini che in effetti mirano a non modificare la destinazione finale, ma di rigenerazione. Facciamo un esempio: se una centrale elettrica diventa un museo, questa è rigenerazione. E stiamo parlando di un patrimonio dismesso immenso che dovrebbe cambiare destinazione d’uso. Ovviamente la condizione essenziale per l’avvio di una efficace politica di rigenerazione urbana è la conoscenza del patrimonio dismesso ma le fonti attualmente disponibili sono poche, frammentarie e non sistematiche. A Napoli, ad esempio, c’è l’Albergo dei Poveri, un’area immensa e abbandonata il cui restauro dovrebbe rientrare nel PNRR. Perché non ripensarlo in termini di studentato? Questo significa che lo Stato dovrebbe programmare non sulla base di urgenze ma pianificando, dando effettivamente delle prospettive, certo non a breve termine ma ragionando su ciò che davvero serve per il futuro dei nostri giovani. Chissà quante fabbriche, scuole, caserme, stazioni, conventi abbandonati ci sono in Italia! Questa nostra meglio gioventù avrebbe bisogno di ben altre attenzioni e di ben altre teste pensanti.