Pensavamo che l’incubo dell’emergenza rifiuti di appena un decennio fa fosse terminato per sempre, ci siamo illusi di esserci messi alle spalle gli enormi cumuli abbandonati per le strade. Lo stop programmato all’impianto di termovalorizzazione di Acerra (o inceneritore, se preferite) per l’obbligatoria manutenzione delle linee di trattamento, per noi cittadini, per gli organi di stampa, per i comitati no a tutto, ha il sapore di una secchiata di acqua gelata.
Sia ben chiaro, allo stato non siamo ancora in emergenza. Ma piazzare 70/75 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati, oltre 30.000 di umido che si produrranno probabilmente sino alla riapertura dell’impianto, non sarà uno scherzo.
Una parte sarà smaltita all’estero via nave e via treno a cifre sempre più elevate. Il rischio che gli smaltitori transfrontalieri facciano cartello per far lievitare i costi è più di un sospetto. Mentre la maggior parte verrà accantonata momentaneamente, confezionata in ecoballe per usare un temine tecnico, in attesa che riapra a pieno regime Acerra e li termovalorizzi.
Pare di capire che diventeranno siti di stoccaggio provvisorio anche quelli che da vent’anni ospitano le ecoballe prodotte nelle precedenti emergenze e che, adesso, cominciavano a vedere la luce in fondo al tunnel con il perfezionarsi delle gare straordinarie di smaltimento.
L’Italia, si sa, è il paese dove non c’è nulla di più longevo di ciò che dovrebbe essere provvisorio. La Campania è tra le prime in questo campo, quello del transitorio infinito, e giustamente i cittadini temono che le nuove ecoballe saranno oggetto di discussione per un altro ventennio. Ventennio durante il quale qualcuno ci spiegherà, tenterà di convincerci che altri impianti di termovalorizzazione sono inutili, dannosi ed antieconomici e che la sola differenziata basta e avanza per vivere in una regione pulita.
Dobbiamo produrre meno rifiuti, è vero. Dobbiamo differenziare di più, è vero. Come è vero che nessun paese europeo (anche le tanto decantate socialdemocrazie green del Nord Europa) può fare a meno della termovalorizzazione allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche. Nessun politico campano ce lo spiega per paura di perdere voti. Noi ci illudiamo e il sistema continua ad essere fragile, esposto ad ogni prevedibile piccola emergenza che, giocoforza, diventa una grande emergenza. Un po’ come per l’energia elettrica. Siamo tutti contro il nucleare, ma compriamo l’energia elettrica prodotta dall’impianto nucleare francese a un tiro di schioppo dai nostri confini.
Si sapeva da dieci anni che bisognava fare la necessaria manutenzione all’impianto di Acerra. Abbiamo preferito mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, sperando che per miracolo la monnezza sparisse, che se ne occupasse qualcun altro al posto nostro. Insomma, che avvenisse il miracolo. Il miracolo non è avvenuto. Bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare seriamente al problema, senza ideologismi di sorta. Senza inseguire chi ci illude di avere in tasca la soluzione del problema. La soluzione non potrà mai essere univoca ma dovrà scaturire necessariamente da un approccio orientato su più fronti: minore produzione di rifiuti, raccolta differenziata e termovalorizzazione.
Ricordiamoci che la pazziella di portare i rifiuti fuori regione, che ha un costo esorbitante che viene ribaltato senza indugio sulle tasse, diventa ogni giorno sempre più difficile e non potrà durare per sempre. Roma, a causa della sua emergenza rifiuti che la Raggi non riesce proprio ad arginare, da qualche anno è entrata prepotentemente nel mercato dell’accaparramento dei siti di conferimento oltreconfine. Togliendo di fatto il terreno sotto i piedi alla Campania che vede ridursi in maniera drastica la disponibilità di chi ha sempre accettato (dietro lauto compenso) i suoi rifiuti.
Teniamolo a mente, o, fra dieci anni alla prossima manutenzione, ne staremo ancora a parlare!