Frequentemente la politica italiana, soprattutto a sinistra, ci ha abituato a scissioni dell’atomo, con partiti di minuscola dimensione che si frantumano in unità di dimensioni ancora più ridotte. Qualche volta, si è invece tentata la fusione tra partiti di media dimensione, ed è stata una catastrofe egualmente, come nel caso del tentato partito unico tra socialisti e socialdemocratici. A questa seconda esperienza appartiene la storia recente del Terzo Polo, il tentativo di formare un unico partito tra Azione di Carlo Calenda ed Italia Viva di Matteo Renzi.
Archiviato il risultato elettorale non entusiasmante di un Polo che l’aggettivo terzo lo ha mantenuto solo come aspirazione, ma che comunque ha garantito la presenza di una pattuglia parlamentare, si trattava di costruire il percorso per la fusione tra queste due forze politiche che si erano presentate in un cartello elettorale. Di mezzo a questa storia si è inserita anche l’accelerazione determinata dalla storia personale di Silvio Berlusconi, con il ricovero al San Raffaele che ha aperto di fatto le danze per la successione a questo capitale politico di lungo corso.
Forza Italia, nonostante la sua ridotta dimensione di consenso nel Paese, costituisce oggi un baricentro che può spostare in modo sostanziale gli instabili equilibri politici nel Paese. Sono tre gli scenari che si aprono: una attrazione verso Fratelli d’Italia, aprendo la prospettiva di una vocazione maggioritaria di Giorgia Meloni; un consolidamento della sua identità assieme a Matteo Renzi, per contare di più nel centro-destra; una fuoriuscita dall’orbita dell’attuale maggioranza, con Carlo Calenda, per fornire al Partito Democratico una alternativa alla alleanza con i Cinque Stelle.
Insomma, sulla scacchiera della politica italiana si stanno muovendo contemporaneamente molti pedoni, secondo traiettorie attente solo al proprio personale futuro, non al destino della partita nel suo insieme. Dentro questo gioco deflagrano le personalità dei singoli protagonisti. Carlo Calenda e Matteo Renzi, sin dalla loro alleanza, si sono presentati come una “strana coppia”, alla Walter Matthau e Jack Lemmon. E’ cominciato un gioco di sottigliezze, litigi, stoccate, con alcuni capolavori come il passo indietro rispetto alla leadership di Matteo Renzi, pensato in modo brillante per intestare al suo compagno di strada una sconfitta programmata rispetto alle ambizioni.
Ora, sotto lo striscione ciclistico dell’ultimo chilometro prima della nascita del partito unico, sono cominciare le danze della differenziazione, le sciabolate di Twitter, il gioco del cerino ad assegnare la responsabilità della rottura all’altro. Matteo Renzi è un leader delle mani libere. Lo ha fatto quando era segretario politico della prima forza del Paese, figuriamoci se ci rinuncia in un vascello corsaro che vuole condurre in qualunque direzione ritiene opportuna al momento, nelle danze tattiche nelle quali è maestro assoluto.
Carlo Calenda si è sentito lusingato dall’idea di essere leader della forza politica, e riteneva che questa designazione gli consentisse di dettare il percorso, le regole del gioco, il disegno di futuro. Come spesso accade, Matteo Renzi ha cominciato a smontare la strategia partendo da un elemento apparentemente laterale. Con l’acquisizione della testata L’Unità, il giornale Il Riformista doveva andare in soffitta. Non è andata così. Anzi. Renzi ha assunto il ruolo di direttore, segnalando con questo atto che voleva tenere le mani completamente libere. Ma non bastava evidentemente. Al ruolo di direttore responsabile della testata de Il Riformista è stato chiamato Andrea Ruggeri, ex parlamentare di Forza Italia, che ha immediatamente dichiarato di voler essere un pontiere tra Renzi e Meloni.
E’ cominciato uno scontro al fulmicotone, che presto si è tradotto in uno scambio di invettive tra personalità, in un crescendo rossiniano che cerca solo di scaricare le responsabilità della rottura sulle spalle dell’altro. Sarà difficile che i cocci si rimettano assieme. I cicli della politica italiana si esauriscono in pochi mesi. Così, anche, pare che finirà il disegno del Terzo Polo. L’ennesimo tentativo di evocare e costruire il famigerato Centro andrà in soffitta: si tratta solo di capire se sarà un omicidio o una lenta agonia. Con una legge elettorale che assegna un robusto premio di maggioranza e che lascia ai segretari di partito di nominare gli eletti, non c’è alternativa al bipolarismo sbilenco che solo un comico come Beppe Grillo era riuscito a smantellare.