Sono stati recentemente diffusi i risultati di una ricerca svolta da BlueMonitorLab, il centro studi sulla Blue Economy in Italia presieduto dal professor Giulio Sapelli, sul fenomeno dell’erosione costiera. Sulla base dei dati elaborati dalla start up Corema Spiagge, risulta che in circa 50 anni l’Italia avrebbe perso dai 35 ai 40 milioni di metri quadrati di coste, spiagge e arenili. Il che, valutando (secondo Nomisma) il reddito prodotto da un mq. pari a poco meno di 1.000 euro in termini di entrate turistiche, avrebbe provocato un danno complessivo al sistema Paese di circa 45 miliardi.
Ma quello che più preoccupa, aldilà del dato economico, è che gli interventi di protezione delle spiagge finora realizzati (pennelli, moli, scogliere artificiali, ripascimenti con materiali di risulta) non avrebbero in alcun modo rallentato il fenomeno erosivo. Anzi lo avrebbero accelerato. Recenti ricerche evidenzierebbero, infatti, che non è direttamente il moto ondoso bensì la corrente litoranea di fondo a causare l’erosione. Mentre le onde tendono ad accumulare a riva i materiali, le correnti generano l’effetto opposto. Ergo, le correnti distorte da difese rigide e strutture fisse (porti compresi) generano un effetto perverso.
Per tutti, viene proposto l’esempio del litorale che dal porto di Margherita di Savoia si estende sino a Manfredonia, in Puglia. Il porto avrebbe fermato il flusso di sabbia trasportato dalla corrente da sud-est a nord-ovest, creando una spiaggia amplissima a sud e un processo erosivo intenso a nord. I pennelli e le barriere realizzate per risolvere il problema avrebbero avuto il solo effetto di spostare l’erosione verso nord.
La proiezione sui prossimi dieci anni evidenzia un’accelerazione esponenziale del fenomeno. Senza specifici studi sull’andamento delle correnti, si continuerà infatti a realizzare opere di protezione inutili o dannose.