IL RAPPORTO TRA L’UOMO E L’ACQUA. LE PROSPETTIVE
Del Prof. Ing. Giuseppe De Martino, già Ordinario di Costruzioni Idrauliche presso l’Università di Napoli Federico II
IL RAPPORTO TRA L’UOMO E L’ACQUA NEL CORSO DEI SECOLI
Nel corso dei secoli è notevolmente cambiato l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della protezione. Un tempo si rinunziava a priori a provvedere con opere o con sistemazioni territoriali a mitigare il rischio di essere sottoposti ad eventi disastrosi. Solo molto più tardi, pur permanendo l’elementare concetto che non tutti gli eventi possono essere elusi, si è cominciato a ritenere possibile la protezione del territorio, da attuare dopo avere esaminato, sulla base di valutazioni scientifiche, il livello di probabilità e di pericolo connessi. Purtroppo, però, a questa razionale impostazione si è spesso affiancato, di fatto, il disinvolto e sconsiderato uso di territori già di per sé difficilmente proteggibili.
In tempi relativamente recenti, i due aspetti del rapporto tra l’uomo e l’acqua, quello dell’uso e quello della protezione dai pericoli ad essa connessi, si sono intrecciati tra loro: ai pericoli naturali si sono affiancati quelli causati dall’uomo stesso.
ALLUVIONI E FRANE
Di certo, alluvioni e frane si sono sempre verificate fin dai tempi più remoti, allorquando, però, l’ambiente non era stato aggredito, come è facile dedurre da cronache antiche e da testi storici. Ma il loro verificarsi in aree non urbanizzate, in un mondo raccolto in piccoli insediamenti, e quando i corsi d’acqua erano liberi di esondare senza effetti dannosi, non comportava distruzioni e lutti, almeno non nella entità odierna. Oggi, invece, quegli stessi eventi conseguenti a cause naturali, un tempo appena percepiti, creano effetti catastrofici soprattutto per cause umane.
Tragedie che si verificano nel nostro paese con drammatica puntualità, incuranti di denunce ripetute e subito rimosse. E seguendo un copione ormai abituale, si succedono i drammi dei sopravvissuti, le denunce di assenza di regole nella gestione del territorio, gli impegni solenni che tragedie come queste non si verificheranno mai più. Eppure, cessata l’emozione del momento, continuano come prima l’abusivismo e le pressioni degli interessi fondiari e immobiliari, seguendo pratiche consolidate molto spesso contigue all’illegalità: segno del fatto che, purtroppo, il Paese è ancora ben lontano da una consapevolezza condivisa dell’importanza delle tematiche legate alla difesa del suolo.
FATTORI DINAMICI ESOGENI DA FAVORIRE L’ALTERAZIONE DEGLI EQUILIBRI NATURALI
I sempre più frequenti eventi calamitosi, alluvionali e franosi evidenziano dunque il crescente livello di vulnerabilità del territorio, conseguente non solo a cause naturali ma, e soprattutto in certi casi, a irrispettose attività antropiche, succedutesi con sempre maggiore incisività nell’ultimo secolo ed agenti quali ulteriori fattori dinamici esogeni e tali da favorire l’alterazione degli equilibri naturali, quali:
- abusivismo edilizio;
- deforestazione o disboscamento;
- uso indiscriminato del suolo;
- alterazione dei reticoli idrografici minori nelle zone di pianura;
- mancato controllo delle sistemazioni idraulico-forestali;
- interventi a scala locale spesso scaturiti da motivi di somma urgenza o da necessità di protezione puntuali che in alcuni casi hanno dato luogo a conseguenze ancora più dannose di quelle che si sarebbero verificate in loro assenza;
- mancanza di adeguate opere di salvaguardia e di controlli tecnici;
- tombatura di alvei;
- strangolamento progressivo degli alvei, nelle aste principali come negli affluenti, onde conquistare nuovi territori agli insediamenti umani senza rispettare le tendenze evolutive dei corsi d’acqua;
- insediamenti in prossimità di fiumare;
- assenza di comunicazione del rischio;
- manutenzione trascurata o addirittura assente;
ed aggiungo:
- modelli amministrativi di governo del territorio che non avvertono l’esigenza di fare i conti con l’ambiente quando vengono approvate opere senza l’assistenza di una specifica cultura tecnica;
E con riferimento a tale ultimo punto, è da ricordare che le opere idrauliche, che richiedono la conoscenza di tematiche multidisciplinari, sono tra le più difficili dell’ingegneria civile. Così come sosteneva già negli anni ’50, il prof. Girolamo Ippolito.
E problematiche ancora più complesse presentano le opere di difesa dal rischio di colate, di detriti e di fango, attesa la desuetudine. Come ben può assentire il professore Pasquale Versace, già Vice Commissario di Governo per l’emergenza idrogeologica nella regione Campania, dopo il disastro del settembre 1998 che venne definito dal professore Enrico Marchi, nella sua relazione generale “previsione e prevenzione del rischio di colate di detriti”, all’Accademia dei Lincei nell’ottobre 1998.
“NON SOLO DI ESTREMA GRAVITA’ MA CARATTERIZZATO DA FENOMENI ABBASTANZA RARI NEL NOSTRO PAESE: COLATE DI FANGO”.
PREVENIRE E NON INTERVENIRE A SEGUITO DI CALAMITA’ MOLTO SPESSO ANNUNCIATE
La situazione in Italia, conseguente al rischio idrogeologico, è certamente figlia dell’assenza, fino a tempi piuttosto recenti, di una razionale pianificazione ed una oculata gestione dell’ambiente fisico, pur se in presenza di una copiosa legislazione in tema di difesa del suolo. Senza voler sconfinare nel XIX secolo, appare opportuno ricordare, ai giovani colleghi, la cronistoria della normativa italiana in materia, che purtroppo si snoda quasi sempre puntualmente attraverso tappe cruciali scandite dal manifestarsi di eventi calamitosi, a partire dal Regio Decreto n. 523 del 25 luglio 1904. Nel prossimo articolo sarà mia cura pubblicare una successiva tabella a conferma di quanto appena detto: i provvedimenti nomativi di maggior rilievo vengono quasi sempre a valle di tragedie che hanno comportato un prezzo elevatissimo, in termini non solo di danni materiali, ma soprattutto di vite umane.