Dietro la Reggia di Caserta c’è altro. Quello che volete sapere dell’edificio e della sua storia ve lo dice Wikipedia.
Ma davanti al maestoso fronte del capolavoro vanvitelliano, emblema del secolo dei Lumi e del Buon Governo carolino, si muovono giovani casertani: Benito, Rafilù e Ugo, che è il rapper Speranza proveniente dalla banlieue francese Behren 57 e che, in una migrazione al contrario, è tornato nella sua terra. Lì non vedeva futuro, sono parole sue, ed è rientrato a Caserta. Ma nella piazza davanti alla Reggia ha trovato spaccio, violenza, alcool. Non diversamente dal centro della città detto A’ Santella dove nasce Spall a sott, il rap che prende il titolo dall’espressione che si usa per coloro che alzano la statua di Sant’Anna nella processione a lei dedicata.
Speranza, come abbiamo detto, viene da Caserta, non da Napoli. Si tratta della settima città campana per numero di abitanti, 75mila, un contesto più piccolo e periferico rispetto alle aree urbane del rap italiano. Già di per sé, si tratta di una novità in una scena monopolizzata da Napoli, Milano o Roma. Il rapper, insomma, rimette dopo anni e anni la provincia italiana sulla mappa.
I suoi testi sono caratterizzati da violenza verbale e da un tono urlato, ma se metti la violenza dentro la canzone non la fai per strada. Se canti la pace e l’amore non puoi cambiare le coscienze. Il male va combattuto con il male (da un’intervista al rapper). Veste con tute Zeus, Givova, Legea, marchi ben lontani dallo chic di griffe famose. Sul profilo Instagram il suo guardaroba appare composto da tute sportive e magliette attillate, qualche felpa e sneaker d’ordinanza, ma mai gli ultimi modelli più gettonati.
Nelle sue canzoni come Chiavt a Mammt (titolo che mette i brividi), Givova, Spall’a sott, Pagnale, Sparalo, Speranza mescola lingue diverse (francese, romano e qualche termine del dialetto zingaro) alla base casertana, creando un mix le cui sonorità rimandano al melting pot delle periferie. La poetica è quella della vita di strada e soprattutto del carcere, argomento dimenticato dal resto della musica italiana. I protagonisti sono i compagni di quartiere e di cella, che compaiono nei suoi video e condividono le interviste.
Racconta la vita di provincia da insider, con la sfacciataggine di uno che canta quello che ha davvero vissuto. Non beve il succo rosa di DrefGold e Sfera Ebbasta ma il Tavernello o la birra Peroni nelle piazze. Il suo nome si è imposto pian piano, ma adesso è diventato un vero fenomeno, scoperto, prima a Milano e poi in casa sua, con l’appoggio sempre più convinto di rapper come Gué Pequeno, Marracash, Quentin40 o Lazza che ne parla come di un fratello artistico.
Speranza è un viaggio gangsta notturno in treno da piazza Garibaldi alla Gare De Lyon.
Facciamo una riflessione sul fenomeno che accomuna le periferie del mondo occidentale non solo nel degrado, nella mancanza endemica di lavoro ma anche nella voglia di riscatto e di fratellanza che accomuna italiani, arabi, albanesi e zingari. Girare la faccia, disgustati dai temi e dalle provocazioni verbali di questi ragazzi non fa altro che aumentare la distanza ed accentuare il divario tra città e periferia, tra consapevolezza e marginalità. Nei video di Speranza (vi invito a vederli), non c’è solo il grido disperato di tanti giovani senza lavoro, abbandonati dallo Stato e dai partiti, almeno da quelli che si proclamano socialisti, ma ci sono anche i sentimenti di solidarietà e di fratellanza che accomunano i diseredati. Il giovane Simone di Torre Maura che da solo affronta i fascisti di Casa Pound appartiene allo stesso contesto di gente che sulla propria pelle ha vissuto la marginalità ed ora, strumentalizzata, riversa la propria rabbia sugli ultimi della terra.
E’ facile prenderne le distanze noi che viviamo nelle nostre tiepide case, ma l’ondata di insofferenza e di malessere non è circoscritto alle banlieue, alle borgate o alle periferie in genere. L’episodio recente della violenza (uso consapevolmente questo termine) avvenuto a San Giorgio a Cremano, ridente paese alle falde del Vesuvio, dimostra che lo squallore in cui vivono i giovani, senza lavoro e senza prospettive, può assumere anche l’aspetto di un incontro sessuale fra tre ragazzi diplomati ed una fragile donna, in pieno giorno, in un ascensore della vesuviana, in un contesto piccolo borghese!
Colpevole l’assenza dello Stato ma soprattutto dei partiti che dichiarano di voler ripartire dalle periferie, ma preferiscono i giochi di potere e le liti sulle nomine alle Europee. Tornare in strada, ascoltare i ragazzi, dare loro luoghi di aggregazione, insegnare che esiste un mondo di pensieri e parole ben diversi dai loro che pure hanno la dignità della sofferenza, è l’unico modo perché chi sfrutta la guerra tra poveri non prevalga.