Il neosindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, ha proposto, tra le prime sue iniziative, la privatizzazione delle aziende municipalizzate. Francamente, pare una proposta ancora generica, che deve essere approfondita per poterla meglio valutare. Le metropoli si trovano a gestire, attraverso le proprie partecipate, una serie di servizi essenziali per la qualità della vita delle città: trasporti, rifiuti, acqua, talora illuminazione, ma anche tante altre attività che strategiche non sono.
Il Comune di Napoli possiede, nel suo portafoglio, 24 partecipazioni azionarie, di cui esattamente la metà in posizione di maggioranza, e 7 con un controllo totalitario delle azioni; alcune di queste aziende sono in un percorso di liquidazione, come Bagnoli Futura. Adottare un indirizzo unico per l’insieme del portafoglio azionario delle partecipazioni comunali è evidentemente poco proponibile.
Si tratta di identificare percorsi differenti, soprattutto perché perimetri e scopi di queste imprese si estendono in un cerchio ampio di attività. Possiamo provare a classificarle per tipologie omogenee. Cominciamo innanzitutto dalle aziende comunali in cui l’amministrazione è in maggioranza o in totalità del controllo azionario: si tratta di imprese che erogano servizi pubblici (trasporti, acqua e rifiuti). In questo caso il Comune è contestualmente azionista, cliente e controllore.
Spesso si confondono strategie, ruoli e funzioni. Il primo nodo da sciogliere riguarda l’obiettivo che ci si vuole dare: migliorare i servizi per la clientela? Massimizzare il ritorno finanziario per il proprietario? Fare cassa per alleviare il debito pregresso? Non tutte le finalità sono conciliabili.
Nel caso in cui l’azionista comunale è anche cliente, si può determinare una situazione nella quale si riesce a far cassa nel breve, ma poi occorrerà aumentare nel medio periodo i corrispettivi da obbligo di servizio pubblico, quando il privato che subentra si renderà conto che non sono sufficienti le risorse erogate per assicurare adeguato servizio alla collettività.
I trasporti pubblici locali si trovano esattamente in questa situazione. Le aziende comunali hanno un basso livello di efficienza, scontano inadeguati trasferimenti per obblighi di servizio pubblico, e registrano un ritardo per gli investimenti nell’ammodernamento delle flotte. Di quale privatizzazione vogliamo parlare? Non esiste nemmeno una condizione.
Si deve piuttosto percorrere la strada definita quasi ormai un quarto di secolo fa dal legislatore italiano, coerente con i principi europei: vale a dire mettere in atto la concorrenza per il mercato. Vanno effettuate gare per l’assegnazione dei servizi di trasporto ed a vincere deve essere il soggetto che offre il miglior livello di servizio a parità di corrispettivi per l’amministrazione pubblica.
Siamo a carissimo amico, in Italia. Il disegno di legge sulla concorrenza, recentemente approvato dal Governo Draghi, rimanda sulla disciplina del trasporto locale ad un decreto legislativo da emanare dopo sei mesi dall’approvazione della legge in Parlamento, per definire i criteri che saranno alla base del confronto competitivo. Auguriamoci che non sia l’ennesima falsa partenza: ne abbiamo viste tante nel nostro Paese.
Per l’acqua esiste un referendum nel quale i cittadini si sono espressi chiaramente in modo contrario alla privatizzazione di questo servizio pubblico. C’è da recuperare un mare di efficienza, soprattutto sotto il profilo delle perdite dalle condotte: da questo punto di vista il PNRR potrebbe e dovrebbe essere una spinta forte in tale direzione. Sui rifiuti il discorso è abbastanza simile. C’è da completare un ciclo attraverso la realizzazione di impianti per lo smaltimento della raccolta indifferenziata ed il riciclo delle materie prime seconde.
Anche in questo caso la realizzazione di investimenti pubblici è di importanza decisiva per la qualità della volta dei cittadini. Ci si dovrebbe aspettare una intensa capacità di proposta e di attuazione per la modernizzazione di questi servizi. La privatizzazione della proprietà consentirebbe solo di fare cassa “una tantum” per poi lasciare le questioni strategiche tutte sul terreno.
In ogni caso, in tutte le società che – per diverse ragioni – è opportuno che restino nella sfera del controllo comunale, vanno affrontate alcune questioni dirimenti: l’adeguatezza del management, l’autonomia della gestione, il recupero di produttività, la centralità del servizio da erogare ai cittadini.
Ma non si può allora privatizzare nulla? Non è così. Altre partecipazioni sono meno interessanti dal punto di vista strategico e possono generare cassa per abbattere parzialmente il debito. Il Comune di Napoli resta ancora proprietario per il 12,5% di Gesac, la società di gestione dell’aeroporto di Capodichino. Questa è stata una saggia privatizzazione, che ha consentito anche di migliorare la qualità del servizio e di allargare la sfera del mercato servito. Ha senso oggi detenere ancora questa quota di minoranza? Non credo.
Le Terme di Agnano sono un altro caso. Si è tentato a più riprese di privatizzarle negli anni passati, senza successo. Però, si può, e si dovrebbe, fare: un gestore privato potrebbe rivitalizzare un settore che, correttamente gestito, darebbe un apporto sinergico allo sviluppo turistico della città. Qualche riflessione potrebbe essere effettuata sulla Mostra d’Oltremare, società con un passato prestigioso che, come nel caso precedente, potrebbe trovare l’interesse di qualche operatore del settore che sia capace di inserire l’azienda nel circuito ormai nazionale ed internazionale, delle manifestazioni fieristiche.
Insomma, sulle partecipazioni comunali andrebbe aperta una discussione strategica approfondita, definendo i differenti percorsi che sono opportuni in funzione dei singoli servizi erogati. C’è molto lavoro da fare. Vale sempre meno il discrimine tra pubblico e privato. Conta molto di più quello tra efficienza ed inefficienza. Lo sanno bene i cittadini.