Diciotto giorni alle Presidenziali USA. Per tanti analisti elezioni che segneranno il destino del mondo negli anni a venire. Di certo segneranno il destino politico degli Stati Uniti d’America. Qual è lo stato della campagna politica ad oggi?
Le elezioni si decidono in tre/quattro Stati: Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Se la Harris vince in questi tre Stati la Casa Bianca è sua. Non è certo data per scontata una vittoria in questi tre Stati. I sondaggi sono in bilico: a giorni alterni la Harris avanti di quattro punti o in parità. La presidenza USA si risolve con gli Electorate Votes. Si Vince a quota 270. Ogni Stato ha una quota di voti elettorali che dipendono dal numero di Congressman e Senatori. Ad esempio, la California ne assegna 54, New York 28, la Pennsylvania 19, il Michigan 15, Wisconsin 10. Perché questi Stati sono decisivi? Perché sono i cosiddetti swing States: Stati che possono votare Dem o Repubblicano a differenza di altri Stati quali New York, a maggioranza Dem, o Texas, a maggioranza Repubblicana come pure la Florida e l’Ohio. Il Middle West è Repubblicano, gli Stati delle due coste Democratici. Ovviamente un candidato può ottenere un maggior numero di voti ma non raggiungere il quorum dei 270 voti elettorali. Accadde a Hillary Clinton che ottenne circa due milioni più di Trump ma perse la presidenza. Questo perché vige la regola the winner takes all. Un candidato può ottenere un solo voto in meno in California ma perde il collegio elettorale. Un sistema obsoleto che continua a far discutere ma non lo si cambia.
Ma quale lo stato del dibattito politico? Poche idee tanti insulti. Con un elettorato fortemente polarizzato la persuasione politica funziona poco, quasi niente. Esempio: Kamala Harris piace all’elettorato repubblicano donna, la vedono come una candidata forte, tenace, ma non la votano. Non si cambia voto, nemmeno se l’avversario piace. La domanda non si pone proprio nel campo Dem: mai Trump. Meglio starsene a casa. E qui si verifica un interessante fenomeno, il fattore etnico. La Harris perde il 12% dell’elettorato maschio Dem rispetto ad Obama e una parte consistente di giovani afroamericani. Mentre per i giovani afroamericani prevale un senso di disperazione, nessun politico farà nulla per me quindi meglio starsene a casa, per gli adulti afroamericani il discorso assume una piega diversa: il legame con Obama, mai reciso. La Harris non è Obama. Cambierà poco le politiche sociali che interessano noi.
Intanto la Harris si attiva per conquistare il loro voto e per convincere gli indecisi Repubblicani a votarla. Una intervista a Fox News, emittente repubblicana, condotta con piglio e fermezza per mostrare le sue posizioni economiche e sociali. Non senza l’audacia di contrastare Trump su alcune sue affermazioni: userò l’esercito contro i nemici interni degli USA. Ribatte la Harris: Trump è il nemico interno degli USA e fascista. Risponde Trump: la Harris è comunista e vuole affossare la grande economia americana.
Ora, a voler parlare di economia bisognerebbe concentrarsi appieno sugli interventi dei candidati. Quale visione economica hanno per l’America? Invece parlano i grandi media USA. Wall Street Journal: con Trump presidente aumenterà l’inflazione. Washington Post: il piano economico di Trump non beneficerà la classe media. Insomma, una campagna presidenziale costruita sugli slogan e con tanta promozione digitale.
E’ questa la grande novità di questa campagna. Quando la mattina si apre la posta elettronica si è inondati di messaggi elettorali, distretto per distretto, candidato per candidato. Intanto i polls ondeggiano e i mega studi legali si preparano per una grande battaglia legale. Il riconteggio a mano? La paranoia di Trump degli imbrogli? Meglio risolvere tutto il 5 novembre. Ma sarà una campagna elettorale sul filo dei voti. Portare tutti a votare è il mantra. Più dei Dem che dei Repubblicani. Scovare ogni elettore e farlo andare a votare.