Sono numerose e diverse le nuove professionalità che ormai affiancano quella dell’Archeologo in corso di scavo, ma anche prima e dopo lo scavo. Nuove metodologie, a partire dalla ricerca – in fase di Archeologia preventiva alla edificazione fatta con l’ormai classico metodo con georadar e anche con indagini geoelettriche nel sottosuolo – invadono il campo prima riservato quasi in esclusiva all’archeologo.
Anche a Pompei, le nuove figure professionali, come quelle dell’antropologo, dell’archeozoologo, del paleobotanico, oltre quelle più familiari dell’architetto, del geologo, dello strutturista, del restauratore e di altre varie discipline, garantiscono le loro prestazioni agli archeologi. Diremmo che finalmente si lavora di squadra all’obiettivo comune della conoscenza, attraverso indagini diverse e qualificate sui dati emergenti dai reperti dello scavo, o anche prima del suo farsi.
In verità il Laboratorio di Ricerche Applicate a Pompei nacque già nel 1994 con l’obiettivo di approfondire la conoscenza degli aspetti naturalistici del territorio vesuviano e dell’uso delle risorse naturali prima dell’eruzione vesuviana. E oggi il Laboratorio risulta dotato di due camere climatizzate che custodiscono circa 3500 reperti antropologici, botanici, mineralogici, paleontologici, petrologici e zoologici, oltre che reperti di tessuti e legni di valore archeologico. I suoi addetti si occupano del loro studio, del monitoraggio e della conservazione in specifiche condizioni microclimatiche.
Ma negli ultimi anni Pompei – anche grazie ai fondi del Grande Progetto Pompei – ha potuto arricchire il numero dei propri interlocutori specialisti, avvalendosi di professionisti delle più varie discipline garantendosi così un approccio interdisciplinare quanto più completo possibile. E, in occasione delle Giornate Europee dell’archeologia 2020 svoltesi nei giorni scorsi, il Parco archeologico di Pompei ha aperto agli interessati le porte virtuali del proprio Laboratorio di Ricerche Applicate, attraverso la possibilità di consultazione da remoto di brevi video-racconti consultabili sul sito web e sulle pagine social del Parco.
Nelle stesse Giornate si è svolto anche un singolare evento, che ha colto di sorpresa gli addetti ai lavori del Parco Archeologico: la celebrazione laica del Solstizio d’estate.
In pratica, il Ventuno di Giugno è stato concesso prima dell’alba l’ingresso agli Scavi a un piccolo gruppo di studiosi, in quanto la notte precedente era iniziato il Solstizio.
Tra essi, secondo Il Mattino di Napoli, c’erano Carlo Rescigno, Michele Silani, Carmela Capaldi e Ilaria De Cristofaro, docenti provenienti da varie università campane e non, che hanno assistito al sorgere del Sole solstiziale. La interessante iniziativa universitaria si inquadra nell’ambito di un programma di studi sulle città campane che – partendo dalla Archeologia – volge lo sguardo alla Astronomia per indagare sotto nuova luce gli impianti urbanistici antichi.
Il Solstizio è il primo giorno estivo e il più lungo dell’intero anno, come si sa.
Ma la sua celebrazione era atto denso di significati spirituali nell’Antichità, che coinvolgeva il mito di Osiride, approdato a Pompei attraverso la sua sposa Iside, messaggera della religione egizia. Il Solstizio del Sol Invictus era già celebrato a Pompei, nella Pompei preromana e osca, secondo alcuni studiosi dell’Ottocento che hanno approfondito l’orientamento urbano di Pompei e il suo rapporto con la volta celeste, come peraltro ha già fatto la Mostra “Pompei e gli Etruschi” voluta da Massimo Osanna, che ebbe a rapportare fugacemente alcuni allineamenti stradali della Pompei osca alla etrusca Marzabotto.
Dall’Archeologia all’Archeoastronomia il passo però è breve.
E a breve su questo tema noi torneremo.