Negli ultimi giorni su praticamente tutti i Media del Mondo sono apparse notizie del ritrovamento di un carro da parata nello scavo della Villa di Civita Giuliana, situata nella zona collinare a nord di Pompei, fuori dall’area demaniale.
Anche questo Giornale ha ospitato due articoli di diverso taglio sul ritrovamento, per completezza della propria linea editoriale.
Con questo terzo articolo intende però raccontare nel merito la vicenda del più famoso dei ritrovamenti archeologici pompeiani degli anni Duemila.
Intanto, va precisato che la cosiddetta Villa della Civita Giuliana non ha ancora un nome in quanto non è emerso dagli scavi un elemento – come una targa, una lapide o anche un graffito – che abbia reso possibile la sua certa attribuzione a un antico pompeiano.
La villa d’epoca romana, ancora in gran parte da scavare, prima era ignota a tutti come sito specifico “fertile” di ritrovamenti, archeologicamente parlando. Va detto però che si sa da tempo immemore che le due collinette della Civita e della Giuliana, addossate agli Scavi di Pompei ospitavano numerose “villae” suburbane, sia le ville rustiche – vere e proprie masserie agricole – che le ville d’ozio – cioè le ville fuori porta – dei ricchi proprietari terrieri pompeiani che vi si recavano per riposo e svago nelle stagioni propizie.
Basti pensare che già verso la metà del Millecinquecento un Tabulario della Corte napoletana – cioè un topografo reale mica uno qualsiasi – tale Pietro Lettieri, scriveva così, dovendosi recare presso la antica “…città di Pompei, in quello alto che stà in fronte la Torre della Nonciata et in detto locho ne appareno più vestigii”.
Il riferimento a Pompei è diretto come è evidente e inequivocabile anche quello dedicato a “quello alto”, cioè l’altura della Civita e della Giuliana, dove già allora si verificano ritrovamenti, ben due secoli prima che si aprisse la campagna degli Scavi pompeiani, per volere di Don Carlos di Borbone, re di napoli e futuro Carlo III di Spagna.
Tornando però alla Villa della Civita Giuliana, essa era già divenuta nota in tutto il mondo come la “Villa del Cavallo bardato”, perché erano stati rinvenuti tre scheletri di cavalli, di cui uno portava magnificenti bardature.
Oggi invece essa viene celebrata come la “Villa del Carro cerimoniale”, ma è sempre la stessa Villa, davvero straordinaria in quanto a ritrovamenti.
Nei giorni scorsi, infatti, durante lo scavo della Villa – che va avanti da qualche anno per iniziativa meritoria della Procura oplontina, ma è condotto per competenza dal parco Archeologico di Pompei – è stato ritrovato un carro da cerimonia in legno, ornato con raffinati ornamenti e con medaglioni in rilievo di stagno e argento.
Eppure, essa negli anni passati è stata sistematicamente saccheggiata dalle incursioni silenziose di scavatori clandestini collegati a trafficanti di beni archeologici, come si è verificato per secoli in passato.
La Procura della Repubblica del Tribunale di Torre Annunziata, coadiuvata dal Comando Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale, nonché dal Comando Carabinieri del nucleo di Torre Annunziata, in seguito a indagini serrate innescate da gole profonde di pentiti di camorra, riuscì a sgominare la banda del losco traffico, che andava avanti da circa un decennio.
Il resto si deve al Parco Archeologico di Pompei che si è servito di un team qualificato e interdisciplinare composto da archeologi, architetti, ingegneri, vulcanologi, archeobotanici, antropologi nonché restauratori e operai specializzati; tutti silenziosi protagonisti del successo dello scavo che ha consentito il recupero del prezioso carro.
Precedentemente gli scavatori clandestini procedevano scavando dei tunnel nel sottosuolo della campagna pompeiana. Nei tunnel – scavati a forza di braccia – il pericolo di crolli era sempre presente e i clandestini rischiavano di rimanere sepolti vivi sottoterra. Ma essi perseguivano l’obiettivo di forti guadagni attraverso la vendita clandestina dei reperti e, quindi, procedevano carponi o strisciando nei cunicoli terrosi rinforzati con sbruffate di cemento liquido per consolidare le pareti cedevoli.
Il carro è scampato alle razzie dei tombaroli per mero caso.
Attraverso i cunicoli i delinquenti avevano ispezionato i vari ambienti della villa, procedendo lungo le pareti e passando all’ambiente successivo, dopo avere eseguito uno scasso nel muro che separava i due ambienti.
Gli scavatori criminali nel nostro caso avevano scavato fino a 5 metri di profondità, realizzando una rete di cunicoli di circa 80 metri lineari.
Un’avventurosa e pericolosa trafila, già collaudata e attuata per secoli da altri scavatori che li hanno preceduti in altri luoghi a Pompei o anche negli altri siti della vasta area sepolta dall’eruzione vesuviana del 79 d.C., per arrivare allo scopo: rubare la memoria collettiva di tutti noi.