Relazione presentata alla Web Conference “Transizione energetica e rigenerazione urbana” della Fondazione UniVerde, Roma-19 febbraio 2021
Vi è il concreto rischio che lo stanziamento previsto dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” per il progetto “Rigenerazione Urbana” non riesca ad essere finalizzato. Si tratta di 2,8 Mld di euro, una somma decisamente importante che, opportunamente investita, potrebbe imprimere un cambiamento positivo alla qualità delle nostre città, in modo particolare nelle periferie e in connessione con il cosiddetto “Housing sociale” per il quale sono previsti ulteriori stanziamenti.
Purtroppo, dobbiamo constatare che oggi nel nostro Paese non esistono le condizioni per varare una vera politica di rigenerazione urbana. Le ragioni principali sono due.
La prima è che non si è ancora capito che cosa è la rigenerazione urbana, come si evince dal fatto che in tutte le sedi – politiche, amministrative, progettuali e imprenditoriali, compreso il PNRR, ma anche tra gli esperti e nella pubblicistica – quando si usa il termine rigenerazione urbana lo si confonde con altri termini come riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, recupero e altro ancora, facendogli perdere ogni specificità.
Basta esaminare i pochi provvedimenti legislativi in materia, sia a livello nazionale che regionale, per capire che la confusione è totale e che non è semplicemente terminologica ma sostanziale, nel senso che si parla di pratiche diverse tra loro a volte considerandole la stessa cosa, altre volte sovrapponendole, altre ancora spiegandone l’una con l’altra.
Per uscire da questa ambiguità va stabilito una volta per tutte che si intende per rigenerazione urbana un complesso di metodi e pratiche che vengono poste in essere allorquando si interviene su un oggetto urbano – un’area, un manufatto, un ambiente – al fine di modificarne il genere originario creandone un altro diverso.
Se un opificio industriale dismesso viene trasformato in un centro polifunzionale (il Lingotto a Torino), o una centrale elettrica diventa un museo archeologico (il Montemartini a Roma), o una miniera di carbone diventa il teatro di rappresentazione del lavoro minerario (il sito di Serbariu a Carbonia), questa è rigenerazione urbana. Viceversa, la riqualificazione di una piazza, o la ristrutturazione di un edificio, o il risanamento di un quartiere, sono operazioni con una precisa identità e di per sé importanti, ma non sono rigenerazione. Fino a quando questa diversità non sarà capita e sancita in termini di norma non sarà possibile delimitare l’ambito della relativa pratica e costruire una vera politica urbana di tipo rigenerativo.
La seconda ragione riguarda il fatto che il patrimonio al quale si riferisce la rigenerazione urbana è costituito da tutto ciò che è stato dismesso perché non più idoneo all’uso originario. Si tratta di un patrimonio di dimensioni enormi – 9.000 Kmq di siti industriali; 750.000 edifici pubblici, di cui 50.000 monumentali; 1.500 siti militari; 1.600 Km di linee ferroviarie con 1.700 stazioni; 3.000 siti minerari – per lo più lasciato in stato di abbandono, il che genera degrado, inquinamento e mancanza di sicurezza, ai quali corrispondono rilevanti costi economici e sociali.
Ebbene questo patrimonio è quasi del tutto sconosciuto perché, con la parziale eccezione del rilevamento del MEF sul patrimonio pubblico, non esiste un censimento sistematico sia a livello nazionale che regionale e locale, il che non consente di programmare le linee di intervento e di allocare in modo appropriato le risorse disponibili. Dunque, il sistematico rilevamento della quantità, della qualità e della distribuzione territoriale di tutto il patrimonio dismesso è l’altra condizione da assicurare a sostegno di una effettiva politica di rigenerazione urbana.
Se si porrà mano a creare queste due essenziali condizioni – definizione del campo di competenza e conoscenza del patrimonio – allora la rigenerazione urbana potrà costituire lo strumento più efficace per cambiare il modo di pensare e governare la città, sulla scia di quanto è stato fatto e si sta facendo in altri Paesi europei: a Bilbao, a Glasgow, a Marsiglia, ad Amburgo, nella Ruhr, per citare solo alcuni dei casi più eclatanti.
In Italia sarebbe l’occasione per abbandonare l’idea della “Città dell’espansione”, che per troppo tempo ha costruito e spesso devastato il nostro Paese, per sostituirla con quella della “Città della Rigenerazione”, orientata al rispetto dell’ambiente, alla tutela del paesaggio, al risparmio energetico e all’inclusione sociale, a partire dalla messa in gioco dell’enorme e prezioso patrimonio dismesso di cui disponiamo.
Oggi, è bene ripeterlo, le condizioni di cui si è detto non esistono ed è del tutto evidente che ciò rappresenta un ostacolo enorme per la finalizzazione degli stanziamenti previsti dal PNRR. L’auspicio è che il Ministro a cui compete la gestione di quei fondi prenda in mano la situazione e crei le due condizioni per indirizzare il progetto lungo un corretto percorso. L’alternativa è la sicura dispersione dei fondi in mille inconcludenti rivoli, l’ennesima occasione persa.