In questa dannata, ennesima strage in atto in Terrasanta chi paga il costo più alto, ancora una volta, è il popolo palestinese.
Vittima in prima istanza del pressapochismo delle grandi potenze nel secondo dopoguerra, quando, nel ‘47, per risarcire il popolo ebraico dall’Olocausto e metterlo in sicurezza, i vincitori del conflitto decisero di insediare lo Stato ebraico nella Palestina, allora sotto mandato britannico, espropriando e deportando conseguentemente i palestinesi ivi residenti per far posto agli Ebrei. Il 29 novembre del ‘47 l’Assemblea Generale dell’ONU approvò la Risoluzione n. 181, con la quale divideva le terre sotto mandato britannico tra Ebrei e Palestinesi. Quanto questa decisione, unilaterale ed autoritaria, fosse stata concordata e negoziata con i residenti lo si capì da subito; il 15 maggio del ‘48, il giorno dopo che il Regno Unito ritirò le sue truppe dalla Palestina, scoppiò la prima guerra arabo-israeliana. Una guerra che, tra alterne vicende, di fatto non si è mai chiusa.
Vittima in seconda istanza dell’inanità dell’ONU, le cui ripetute risoluzioni volte a garantire la convivenza e la sicurezza sia degli Ebrei che dei Palestinesi sono state sistematicamente disattese dallo Stato d’Israele, nel complice silenzio dell’Occidente, con conseguente perdita di fiducia tra i Palestinesi nelle organizzazioni internazionali tutte e nella possibilità di percorrere una via pacifica alla risoluzione dei contrasti.
Vittime in terza istanza dello Stato d’Israele, del suo espansionismo coloniale, che lo ha portato giorno dopo giorno a sottrarre nuove terre ai Palestinesi per insediarvi i propri kibbuz, e del suo razzismo di fatto. Oggi, nell’emozione generale per l’atroce attacco subito per opera di Hamas, con le sue uccisioni, torture, sequestri di civili, da più parti si esalta il carattere ‘democratico’ dello Stato d’Israele, unica democrazia del Medio Oriente. Questo, che pure è stato un tratto certamente caratterizzante dello Stato d’Israele nel contesto mediorientale per decenni, è meno vero dall’avvento al governo di Netanyahu. Dal ‘18 ad oggi è in atto, sotto la regia del capo del governo di Tel Aviv, una profonda revisione costituzionale e legislativa che sta portando Israele a passare dalla sua originaria configurazione peculiare, di Stato insieme etnico e di diritto, ad uno Stato prevalentemente etnico. La Legge dello Stato-Nazione del 2018 distingue i diritti civili e politici dei cittadini tutti, dai diritti ‘nazionali’ degli Ebrei, tra i quali quello di essere sempre maggioranza demografica nei territori dello Stato. Vale a dire che gli Ebrei hanno il diritto di espellere da un territorio del proprio Stato le componenti arabe o di altre nazionalità qualora vi fosse messa a rischio la dominanza demografica della componente ebraica. Siamo alla costituzionalizzazione dell’apartheid. E da un anno a questa parte Netanyahu ed i suoi stanno forzando con ogni mezzo il legislatore affinché approvi una riforma della giustizia che ne limita, se non annulla, l’indipendenza e l’autonomia, princìpi caposaldo di ogni stato di diritto.
Vittime in quarta istanza del cinismo dei pasdaran iraniani, che si giocano i Palestinesi sullo scacchiere mediorientale come pedine inanimate, mandandoli al massacro pur di destabilizzare ogni percorso di pace. Hamas non è l’espressione dei Palestinesi ‘radicali’, neanche di quelli di Gaza, è solo il braccio politico di un contingente di fatto dell’esercito iraniano, le Brigate al-Qassam. Hamas, vincitrice nel 2006 delle elezioni nella Striscia, l’ha progressivamente occupata militarmente, vi ha soppresso ogni barlume di libertà, ha giustiziato i Palestinesi che erano vicini ad al-Fatah e ha reso quella terra una grande caserma proiettata verso una guerra senza quartiere ad Israele. Ma si può costringere la popolazione civile a risiedere in palazzi nei cui piani interrati ci sono le postazioni militari e poi lanciare missili da quelle postazioni, sapendo che la risposta non potrà che essere il loro bombardamento? Si può irrompere in una festa musicale di giovani inermi, massacrarne a centinaia, torturarne altri, catturare i sopravvissuti e tenerli prigionieri negli stessi luoghi dove risiedono i Palestinesi civili? Questa è barbarie, crimine contro l’umanità, ordito e teleguidato dal peggiore stato-canaglia esistente al mondo, l’Iran dei pasdaran komeinisti.
Israele ora, in spregio al diritto internazionale, sta bombardando Gaza ed ancora una volta sono i civili Palestinesi le vittime innocenti. Lo fa perché vuole smantellare le postazioni militari di Hamas nella striscia, ma anche perché è animata da una feroce voglia di vendetta, peraltro comprensibile. Non le sarà facile spuntarla, tanto meno in breve tempo. Un’operazione militare come quella di sabato scorso non la si prepara in poco tempo. Non si porta un attacco, tanto audace quanto efferato, allo Stato meglio armato del Medio Oriente se non si hanno le spalle coperte. Hamas ha avuto le sue garanzie dai mandanti, l’Iran in primis ed il Qatar con esso.
Teheran conta sull’estensione dell’incendio. Già nelle prime ore dell’attacco, Mohammad Deif, comandante di al-Qassam, ha dichiarato che è iniziata la ‘grande rivoluzione’. Conta sull’appoggio di Hezbollah, altro ‘contingente’ all’estero dell’esercito iraniano, e sulla rivolta dei Palestinesi della Cisgiordania contro Abu Mazen ed al-Fatah. Potrebbero così aprirsi tre fronti, quello di Gaza a Sud, quello delle Alture del Golan a Nord e quello della Cisgiordania ad Est. Forse a Teheran confidano nella rivolta degli islamici delle banlieue delle metropoli dell’Occidente.
Se la guerra si estendesse e Hamas dimostrasse tenuta militare, cosa faranno gli Stati arabi confinanti? Cosa faranno soprattutto le opinioni pubbliche della Giordania, dell’Arabia e dell’Egitto? Quanto alla Siria, satellite di Teheran, all’occorrenza interverrebbe senza esitare.
Gli alleati dell’Iran più distanti geograficamente, ma anche più potenti su scala globale, Cina e Russia, per ora sembrano cauti. Ad entrambi, ovviamente, fa più che comodo che gli USA e l’Occidente siano costretti a questo nuovo fronte, ma per ora escludono un coinvolgimento diretto. La Cina perché notoriamente non è pronta ad un conflitto militare con gli USA ed ha bisogno di tempo per questo. Peraltro, le guerre in atto stanno complicando di non poco la sua strategia di penetrazione geopolitica nel mondo, fondata sulla penetrazione commerciale ed imprenditoriale.
Per parte sua la Russia che, impantanata in Ucraina, sta tentando con ogni mezzo di trasformare la sua sporca guerra di aggressione ad uno stato sovrano in una presunta guerra di liberazione mondiale dei popoli dall’imperialismo USA, guarda con grande piacere a quanto sta accadendo in Israele e, indirettamente, sta fornendo aiuto ad Hamas per la gestione della cyber war e in armi; ma deve pure tener conto che l’eventuale vittoria degli islamici in Israele comporterebbe la fine della presenza cristiana a Gerusalemme. E lì, a Gerusalemme, la componente cristiana più rilevante è quella russo-ortodossa. I russo-ortodossi in patria sono oggi il supporto più rilevante a Putin nella guerra all’Ucraina, potrebbero mai accettare di vedersi cacciati da Gerusalemme con l’avallo del Cremlino? Per non dire del gran numero di israeliani con doppia cittadinanza, russa e israeliana, e dei centosessantamila ebrei russi tuttora residenti ed influenti in Russia.
Insomma, la guerra è aperta ad esiti incerti ma comunque possa evolversi, sue vittime certe e designate sono i Palestinesi.
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