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Paci e guerre, se la sinistra ha perso la bussola

by Luigi Gravagnuolo
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Nel corso della storia alcuni trattati di pace si sono dimostrati efficaci ed hanno garantito un periodo lungo di stabilità post-bellica, altri inefficaci o addirittura controproducenti. Tra le paci ‘efficaci’ c’è quella siglata a Vienna nel 1815, che mise fine al quindicennio di guerre napoleoniche. Tra quelle inadeguate, anzi controproducenti, la Pace di Versailles del 1919, che mise fine alla Grande Guerra. La prima, tra alti e bassi, durò per sessanta anni; la seconda vent’anni.

Efficaci o no che siano, sotto l’ombrello degli assetti geopolitici definiti nei trattati di pace, sempre incubano tempi nuovi. Dopo Vienna, già nel 1820-’21 nacquero i primi moti liberali e nazionali che interessarono un po’ tutta l’Europa, e i tre grandi imperi continentali vincitori a Waterloo – Russia, Austria e Impero Ottomano – nel momento del loro stesso trionfo cominciarono a tramontare. Succede poi che, siglata una pace, non solo quelli che gestiscono il potere, ma anche le popolazioni, si adattino alla nuova situazione post-bellica. Stanchi di guerre ed apprezzando la pace finalmente instaurata, non colgono i semi dei tempi nuovi che, sottotraccia, mettono radici e crescono. In Francia già nel ‘30 i Borbone dovettero rinunciare alla corona a favore degli Orleans e nel ‘52 tornò al potere un Bonaparte, Napoleone III. In Italia il Regno di Sardegna adottò fin dagli anni Quaranta una politica interventista a sostegno delle aspirazioni nazionali e nel 1861 Vittorio Emanuele II poté proclamare la nascita del Regno d’Italia. Tra il ‘54 e il ‘56 scoppiò la Guerra di Crimea, con il conseguente ridimensionamento delle ambizioni espansioniste di San Pietroburgo. Poi ancora le guerre austro-prussiane, franco-prussiane e balcaniche che trovarono un momento di pausa con la Pace di Berlino del 1878. Sotto l’ombrello del trattato di pace siglato a Vienna, il mondo nuovo era covato, ma non tutti se n’erano accorti. I Borbone di Napoli, ad esempio, non colsero i tempi nuovi. Si ostinarono a ritenere che le crisi che agitavano l’Europa fossero fuochi di paglia, che prima o poi tutto sarebbe rientrato nell’ordine statuito a Vienna, e si tennero fuori dai conflitti post-Vienna. Ci rimisero il regno.

A Yalta e Potsdam, nel 1945, le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale – USA, Gran Bretagna e URSS – concordarono i termini della pace. Quella pace si è rivelata ‘virtuosa’. Oggi scricchiola e si aprono falle da tutte le parti, ma ha garantito a buona parte del pianeta, in particolare all’Europa, 75 anni di stabilità. Anche in questo caso, però, da subito si sono aperte delle falle. La Rivoluzione cinese di Mao, le crisi della Corea e di Cuba, il Vietnam, i movimenti anticoloniali dell’Africa, i conflitti arabo-israeliani, la rivoluzione komeinista in Iran, la caduta del Muro di Berlino e l’unificazione delle due Germanie, per ricordare a memoria e un po’ alla rinfusa i segni dei tempi nuovi germogliati fin dal dopoguerra e che hanno contrappuntato la seconda metà del Novecento. Tuttavia, nel suo insieme, l’assetto post-bellico ha retto a lungo, settantacinque anni non sono pochi.

Il principio adottato a Yalta e Potsdam fu semplice: l’Europa sarebbe stata divisa in due zone di influenza, quella occidentale ad egemonia anglo-americana col supporto della Francia, l’altra ad egemonia russo-sovietica. A dividere le due Europe, la “cortina di ferro”. La definizione degli assetti del resto del mondo fu invece meno puntuale ed iniziò la Guerra Fredda tra le due superpotenze, URSS e USA. È durata quaranta anni e non è stata fondamentalmente una guerra militare, salvo che per il Vietnam e poche altre aree geografiche. Per settant’anni non ci sono stati scontri armati diretti tra USA e URSS. La guerra fredda è stata economica e ideologica insieme, una guerra di civiltà. Da una parte il comunismo dall’altra la liberaldemocrazia. Ma nessuno, da una parte e dall’altra, è stato intenzionato, fino al ‘92, a far saltare il banco di Yalta e Potsdam. Ora quel mondo non c’è più.

Nel 1989 è caduto il Muro di Berlino, dopo due anni è collassata l’URSS. Si sono quindi succedute la prima Guerra del Golfo, le guerre della Jugoslavia, le crisi politiche dei Paesi euroccidentali. Poi ancora le Torri Gemelle, l’Afghanistan… fino all’invasione russa dell’Ucraina e all’attacco di Hamas ad Israele di queste ore.

Il mondo è di nuovo a ferro e fuoco, siamo minacciati da una nuova guerra mondiale. Stavolta non ‘a pezzetti’, ma globale. Una nuova tappa della millenaria guerra di civiltà tra Oriente ed Occidente. Da una parte i fondamentalismi teocratici, le tirannie e le autocrazie corrotte; dall’altra le decadenti, quasi lascive democrazie dell’Occidente. Questo è il mondo oggi e in esso bisogna collocarsi.

In Occidente, in questa temperie, chi pare aver perso la bussola è la ‘fu sinistra’, nelle sue varie sfaccettature. Vedi ‘compagni’ che la mattina protestano contro l’eccidio delle donne persiane perpetrato dai mullah al potere a Teheran e la sera sventolano le bandiere di Hamas; la mattina stanno con i Curdi e la sera con i Turchi; sono antimperialisti e inneggiano all’imperialismo di Putin. Pacifisti e filo regimi che spingono per la guerra. Sfilano per i diritti LGBTQ+ e solidarizzano con chi, se arrivasse al potere qui da noi, li massacrerebbe. Cresciuti nella solidarietà verso gli Ebrei, i martiri della Shoah e le principali vittime del nazifascismo, ne tengono alta la memoria il 27 gennaio e il 25 aprile li cacciano dalle manifestazioni per la liberazione dal nazifascismo. Qualcuno, più ardito, attraversa il fiume ed arriva alla sponda rosso-bruna.

Questo per quanto attiene alla parte più radicale della fu sinistra. Ma anche le componenti moderate, pur se fra sottili distinguo, sono in gran parte refrattarie ad orientarsi nel nuovo scenario. Scoprirsi nello stesso campo degli USA e della NATO è urticante per la loro coscienza, ragionano  ancora in termini di guerra fredda. Nostalgici di quel mondo – e di quel tempo di pace, ribadiamolo – neanche si rendono conto che il comunismo è fallito di suo e che l’URSS non è stata abbattuta dai perfidi Yankees, ma per autodissoluzione. Stentano a prendere atto del cambio di fase storica e che oggi l’alternativa non è tra democrazia borghese e comunismo, ma tra democrazia e regressione al Medioevo. Così, abbarbicati alla nostalgia del passato, fuori dal presente, miopi sul futuro, lentamente scivolano verso la propria dissoluzione politica. Fu così anche per i Borbone di Napoli.