L’Autore, Generale di Corpo d’Armata (ris) della Guardia di Finanza, Medaglia d’Oro dell’Aquila (*), è Presidente dell’Organismo di Vigilanza del Consorzio Research.
Alcuni giorni or sono un ATR della Guardia di Finanza lasciava l’Aeroporto “Madre Teresa” di Tirana, la capitale dell’Albania, portando verso l’ aeroporto militare di Pratica di Mare un carico prezioso: 30 “angeli” in camice bianco, 10 medici e 20 infermieri che il Premier Edi Rama aveva selezionato per aiutare l’Italia devastata dall’emergenza COVID 19. “E’ solo un piccolo aiuto, solo una candela accesa” ha detto il Primo Ministro Rama salutando gli operatori sanitari, tutti molto giovani. Forse è così, ma quella candela ha una luce immensa. E’ la luce della gratitudine e della riconoscenza di un Popolo amico, Rama sa bene quanto: lui. Lo statista, l’uomo (e già ministro) di cultura, l’ apprezzato pittore, lo sportivo, il sindaco “delle ruspe e dei colori”, utilizzati le une e gli altri per impreziosire prima la capitale poi l’intero paese, con il suo gesto ha saputo interpretare perfettamente e con grande sensibilità istituzionale i sentimenti della sua “gente”, trovando così il modo migliore per dire “grazie” per gli aiuti e la generosità che l’Italia non ha mai fatto mancare al Paese delle Aquile (da ultimo con l’immediato intervento della nostra splendida Protezione Civile e della nostra meravigliosa Croce Rossa in occasione del fortissimo, devastante terremoto di fine gennaio).
Quello stesso velivolo, l’ATR della Guardia di Finanza, nell’aprile 1997 aveva fatto il percorso inverso trasportando, dall’ Aeroporto militare di Pratica di Mare verso Tirana, un team di funzionari di Polizia e di Ufficiali della Guardia di Finanza e dei Carabinieri: Si trattava di un piccolo gruppo di “esperti” che l’Italia aveva fatto partire solo 48 ore dopo una disperata richiesta del Presidente della Repubblica d’Albania. Appena arrivati iniziarono a fornire assistenza ai colleghi albanesi, allo scopo di favorire un “humus” di sicurezza in un paese in rivolta. La situazione che si presentava agli occhi degli “esperti” della “Missione Interforze” era drammatica: Le città erano sotto il controllo di gang criminali (la banda di Zani a Valona teneva in assedio la città saccheggiando caserme, fabbriche, istituzioni ed impossessandosi di armi, cibo, beni di ogni tipo), ovunque vigeva il coprifuoco, le strade sconnesse erano percorse da auto senza targa condotte da loschi personaggi armati fino ai denti. Il silenzio assordante era squarciato da esplosioni di bombe e da raffiche di Kalashnikov. Le campagne circostanti costellate da piccoli “bunker” disseminati ovunque come inquietanti funghi (nel periodo del dittatore Enver Hoxa ne erano stati costruiti più di 700.000 per difendere il paese da improbabili “invasori”).
In quei giorni di primavera del ’97 l’Albania stava attraversando la seconda delle tre drammatiche crisi che la colpirono negli anni ’90, ed alle quali avevano fatto seguito altrettante ondate di migranti (clandestini, come si chiamavano, forse, meno ipocritamente in quei periodi).
La prima crisi è del 1991. A Berlino cadeva il Muro, a Tirana svaniva il sogno di essere “l’unico socialismo al mondo”. Migliaia di disperati, soprattutto giovani, avevano occupato le Ambasciate straniere (“i templi della speranza”), riversandosi poi in massa al porto di Durazzo, dove vennero letteralmente assaltati tutti i mezzi navali possibili (per lo più vere e proprie “carrette del mare”), quindi “prora verso le coste italiane” in un modo o in un’ altro. L’immagine più significativa di quel vero e proprio esodo è la nave “Vlora” (è il nome in albanese della città di Valona), un mercantile fino ad allora utilizzato per trasportare zucchero (fu detta la “nave dolce”), carica di anime accatastate in ogni centimetro quadrato che, raggiunto il porto di Bari, si riversarono a nuoto e saltando giù dalle alte paratie sulle banchine.
La terza ondata migratoria è del 1999, a seguito della pulizia etnica avvenuta in Kosovo nei confronti della comunità albanese. I sopravvissuti allo sterminio vennero ricacciati in Albania, soprattutto attraverso il confine di Kukes, ed ospitati dalla comunità internazionale (moltissime furono le organizzazioni umanitarie italiane) in strutture appositamente realizzate, dove tuttavia caddero facili prede dei criminali che avevano ripreso gestire il traffico dei clandestini verso la Puglia.
In quella primavera del ’97, invece, la seconda crisi aveva avuto origine dalla fine della guerra nella ex Jugoslavia che aveva trascinato con sé il crollo del sistema del riciclaggio del denaro proveniente dai traffici illeciti investito nelle società piramidali, una serie di scatole vuote create da speculatori internazionali che rendevano interessi altissimi ai “risparmiatori”. La gente in Albania vi aveva investito tutti i propri averi ma, trovatasi nuovamente sul lastrico, invase le caserme, le carceri, le fabbriche, fuggendo in Italia questa volta sui gommoni veloci che la criminalità italo-albanese aveva utilizzato per trasportare droga ed armi. Gli scafisti mollavano gli ormeggi di notte dopo aver fatto salire a bordo 30/40 disperati che cercavano solo di fuggire dalla disperazione (e non pochi delinquenti). Una flotta di decine di natanti veloci che raggiungevano rapidamente le coste pugliesi da dove, scaricato il carico, facevano ritorno a quelle albanesi. Gli ultimi viaggi della speranza su barconi e su carrette ebbero conseguenze tragiche: La “Kater i Rades” (“Quattro in Rada”) subì un drammatico affondamento scontrandosi con “Nave Sibilla” della Marina Militare italiana: morirono in 120.
L’Italia aveva già inviato “uomini in divisa” in Albania, nelle missioni europee “Pellicano” ed “Alba” di entrambe le quali aveva avuto la leadership, ma la sfida questa volta era più ardua. Si trattava di ricostruire quasi da zero le strutture di Polizia, i commissariati, le Direttorie, i servizi centrali e nazionali, come la Polizia Stradale (la Rrugore) e la Polizia di Confine (la Kufitara). Soprattutto quest’ultimo difficile compito fu affidato al Servizio Navale della GdF che iniziò a pattugliare le coste da Durazzo a Valona con motovedette veloci V5000 che iniziarono ad avere a bordo colleghi albanesi. La mission era quella di scoraggiare i numerosi “gommoni” in partenza, respingerli sulle coste, e segnalare in Italia la rotta di quelli che riuscivano a sfuggire ai respingimenti.
La “Missione Interforze” fu un successo. La Polizia albanese presto si organizzò nelle sue strutture, prendendo ad esempio quelle delle Forze di Polizia italiane. Il traffico di clandestini via mare andò piano piano a scemare. I responsabili della GdF nella missione contribuirono con i colleghi albanesi a predisporre una legge contro gli “scafisti” che fu portata materialmente in Parlamento, dove fu approvata alla unanimità. In breve tempo i pattugliamenti congiunti, forti di norme cogenti e di una collaborazione spontanea e sincera, riuscirono a bloccare uno alla volta i gommoni impiegati nei “viaggi della speranza”. Non ci fu neppure un incidente, che avrebbe potuto creare gravi problemi diplomatici; l’assistenza si trasformò in una vera e propria collaborazione fra le Polizie dei due paesi, con la soddisfazione delle Autorità italiane e la gratitudine di quelle albanesi.
Quello stesso ATR della Guardia di Finanza dal 1997 ad oggi, ha sorvolato più volte il cielo del Paese delle Aquile. Per missioni operative, come quelle di supporto ai controlli sul mare, o come quelle per “scannerizzare” le coltivazioni di stupefacenti, o per motivi umanitari, come quando trasportò a Bari Ilaria, una bimba di Durazzo di pochi mesi che era nata con una grave malformazione cardiaca, o quando portò dall’Italia i numerosi aiuti che le famiglie dei finanzieri del Servizio Navale del Corpo di stanza a Durazzo e Valona inviarono, soprattutto alle famiglie dei profughi nei campi di cui i Finanzieri del Servizio Navale avevano la responsabilità.
Ora tocca quindi a noi, cara Albania, di dire grazie a Te per questo segnale di riconoscenza, di amicizia e di grande umanità. Che emozione vedere quei giovani medici arrivare in Italia, tutt’altro che spauriti o confusi come i loro genitori, piuttosto con gli occhi pieni di forza, coraggio, generosità. Grazie Presidente Rama, a nome di tutti noi Italiani. Grazie anche da parte mia, che ero a bordo di quell’ATR nel ’97, Capo Missione della Guardia di Finanza; che ho solcato i mari e sorvolato i cieli di Shqiperia; che ho accolto i profughi nei campi della Protezione Civile e della Croce Rossa Italiana; che ho lavorato a lungo anche negli anni successivi (e lo faccio ancora) insieme alle vostre Autorità, alla vostra Polizia, ed alla vostra gente, così nobile e generosa d’animo.
Faleminderit.
(*) decorazione concessagli dal Presidente della Repubblica Meidani “per il suo contributo nella lotta per la prevenzione del contrabbando, del traffico illegale di clandestini, di armi, di droga, per gli audaci e civili atti e per l’ alta umanità dimostrata nella salvaguardia della gente ed il suo aiuto agli istituti di beneficienza ed alla Polizia albanese”