“Non ti fidare mai degli uomini. Mai. Soprattutto se dicono di amarti”. Sono le ultime parole di sua madre morente. E lei dice di sé e della sua stessa vita: “Tutto è servito a farmi più forte e più dura”.
Parla Eva Kant, la storica compagna di Diabolik, la bionda algida, irresistibile connubio tra Kim Novak e Grace Kelly. Donna incantevole dalle attillate tutine che è il supporto insostituibile del suo compagno. Sono la coppia nera cui fa da contrappeso quella bianca formata da Ginko e da Altea di Vallenberg. Meglio i cattivi in questo caso, più empatici e coinvolgenti.
Il primo incontro tra Diabolik ed Eva Kant sarà raccontato in un film dei Manetti bros, già registi di “Song ‘e Napule” e di “Ammore e malavita”, come hanno preannunciato alla platea del Mediterraneo alla Mostra d’Oltremare in occasione del Comicon, il Salone internazionale del fumetto alla sua 21^ edizione, in svolgimento a Napoli fino al 28 aprile. Clerville, la città in cui sono ambientate le storie di Diabolik, sarà Milano, del resto le sorelle Giussani, storiche editrici del fumetto, erano meneghine e molti disegni di palazzi erano ispirati a quelli di Milano. Ghenf, città di mare, avrà il suo set a Trieste. Non mancherà la mitica Jaguar E-type, l’auto che a tutti gli effetti risultava un personaggio indispensabile nelle fughe del nostro eroe.
Diabolik “E’ un ladro che compie azioni senza scrupoli. Ma il lettore non smette di parteggiare per lui. Questo perché è un personaggio di fantasia. Sia lui che Eva Kant sono come due anarchici in un mondo di assoggettati” dice Antonio Manetti. Questa affermazione mi sembra chiarire il perché del ritorno di un eroe che dal novembre del 1962 continua ad esercitare uno straordinario fascino su lettori giovani e meno giovani.
Ha un senso della giustizia alla Robin Hood, si serve del male ma non è un malvagio, lo amiamo perché compie azioni veloci e sorprendenti, facendosi beffe delle regole. Abbiamo purtroppo bisogno anche di un alter ego di Montalbano, di qualcuno con un forte senso di equità sociale, anche se, in questo caso, è dall’altra parte della barricata rispetto al commissario di Vigata.
E Diabolik opera senza poter fare a meno di lei, Eva, la donna Alfa. Non un’eroina alla ricerca del principe azzurro, dedita all’assistenza di genitori, fratelli o parenti in difficoltà, ma una donna che non deve chiedere mai, con uno straordinario curriculum di femme fatale. Determinata e determinante per sé e per il suo uomo.
Nell’albo “Quando Diabolik non c’era” si racconta che Eva è figlia illegittima di un nobiluomo, lord Rodolfo Kant, che non riconosce la figlia e salda la madre con un gioiello, il diamante rosa. La madre si ammazza. Lo zio Anthony, il fratello del padre, per impossessarsi dei suoi averi, chiude la nipote in un orfanotrofio e le ruba il gioiello. Lei fugge dall’istituto, va in Sudafrica. Rincontra Anthony che non la riconosce, adulta e bellissima, lo seduce, lo sposa: recupera il cognome e il gioiello. In seguito, ucciderà il marito facendo in modo che una pantera lo sbrani.
Diabolik entra in scena per rubarle il diamante rosa, nel terzo numero. Appena lo vede, Eva lo ri-conosce. Sono della stessa pasta, ma finge la resa. Diabolik, che in un fumetto ordinario sarebbe l’uomo eroe, non si rende conto con chi ha a che fare. Lo capirà nel 1963, quando Eva lo salva dalla ghigliottina, da quel momento Diabolik è suo ostaggio, la donna dominatrice ha preso il sopravvento.
Non è un caso quindi che il film dei Manetti Bros. inizi proprio dal loro incontro. Non c’è storia per il nostro eroe senza di lei. La caratteristica di Diabolik è quella di avere a fianco una donna fuori dall’ordinario, ne risulta una prigionia d’amore che nasconde il bisogno.
Persino quando molto tempo dopo lui cercherà di ucciderla (anche lui arriverà a questo!) sarà lei a condurre il gioco. “Perdonami Eva”, chiede lui come fanno gli uomini dopo le botte. “Proverò” risponde lei. Non lo fa. Ha capito che bisogna fingere quando è necessario e accondiscendere per non soccombere, oppure decidere da sola e andare via, ma, sono sessant’anni che stanno insieme e in realtà hanno bisogno l’uno dell’altra. Del resto, Eva un pò filosofa lo è già dal cognome.
Le sorelle Giussani colte, spiritose e inquiete signore della buona borghesia milanese, capirono che il vento stava cambiando in quei favolosi anni ’60 e che non dietro ma accanto ad un grande uomo ci doveva essere una grande donna. Così nacque Eva.