Era la sera del 5 gennaio 1976 e il maresciallo Gerardo D’Arminio stava facendo il papà. Con suo figlio Carmine stava andando in un negozio di giocattoli, voleva comprargli una bici. All’improvviso, una 500 gialla. Una scarica di otto pallettoni e le urla. Pochi secondi e una vita finita. Morì così l’ennesima vittima innocente della malavita, mentre teneva per mano suo figlio. Aveva 38 anni.
Ne sono passati quasi 45 da quel momento, ma il ricordo del valoroso maresciallo non ha subito l’usura del tempo. A tramandare la sua storia sono le persone, i racconti ed i luoghi. Lì dove fu ucciso è stata posta una lapide in memoria ed ora anche la sua città natale, Montecorvino Rovella, vuole rendergli omaggio. La Giunta comunale ha infatti approvato il progetto per la realizzazione di un murale della legalità all’ingresso del nuovo comando di Polizia Municipale. Tra i diversi progetti avanzati dagli street artists che hanno partecipato al contest, sono stati selezionati i due finalisti. Spetterà ora ai cittadini esprimere la propria preferenza via social – entro il 31 maggio – e scegliere l’opera che verrà realizzata. A contendersi lo spazio, gli artisti Mario Carrafiello, alias “La 180”, e Stefano Santoro in arte “MçNënyå”.
Ciao “La 180”, complimenti per essere arrivato in finale. Com’è nato il tuo progetto?
Ho avuto la fortuna di potermi confrontare con il figlio del maresciallo D’Arminio. Dopo avermi raccontato la vicenda, mi ha prestato delle vecchie foto da cui ho preso spunto per realizzare l’opera. Le foto che mi hanno colpito particolarmente sono state due: una che raffigura il ragazzo Gerardo, poco più che ventenne, e l’altra con il maresciallo D’Arminio in divisa, poco prima del suo assassinio. Ho voluto enfatizzare, scegliendo queste due foto, i due aspetti importanti che sono emersi dai racconti del figlio. Da una parte il ragazzo, dall’altra il carabiniere. Al centro ho scelto di inserire una celebre frase di Borsellino. Ho inserito dei giovani che “corrono verso il futuro”, testimonianza della grande passione che il maresciallo aveva verso le nuove potenzialità, ed un bambino in bicicletta, in riferimento alla storia del suo assassinio. Carmine mi ha raccontato che la bici era il suo regalo, lui, allontanandosi, ha sentito degli spari, saranno quelli che uccideranno il padre. Nell’opera, insomma, volevo mostrare un racconto che spiegasse una persona e la sua storia.
Quanto la street art può aiutare a veicolare un messaggio così forte, soprattutto alle nuove generazioni?
La street art non si rivolge solo alle nuove generazioni, ma a tutti. Piuttosto che essere in un museo o in una galleria è nel tessuto urbano e chiunque passa la può vedere. Questo è un progetto monumentale, una parete che dedichiamo a un eroe morto mentre stava facendo il suo lavoro. Sicuramente le nuove generazioni sono più attente a questa forma d’arte, anche se poi c’è da dire che gli street artists non sono così tanto giovani come si crede. L’utenza, invece, è molto variegata. Un ragazzo che passa da lì può avere un messaggio più diretto, ma dell’argomento se ne deve parlare anche a scuola, il luogo principale dove si deve educare alla legalità.
Ciao MçNënyå, complimenti anche a te. Parlaci del tuo progetto.
Un amico mi ha girato il bando e mi ha detto: “Sembra una cosa per te”. In effetti, ogni qual volta c’è stata una tematica a sfondo sociale io mi ci sono trovato in mezzo e, anche qui, mi è piaciuto il tema. Io costruisco sulle superfici che ho e sulla forma che hanno. Quando sono arrivato lì, la prima cosa che ho visto è stata questa architettura molto irregolare e ho detto “sarà difficile”, ma l’obiettivo era mettere tutto insieme. Quindi da lì ho iniziato a pensare. Ho voluto sfruttare queste “finte” colonne come se fossero vere, fingendo che dietro ci fosse uno spazio vuoto. Il rendering rende poco su queste cose, io lavoro con gli spray e con gli strumenti digitali è difficile rendere l’effetto. Essendo quello che, tecnicamente, si definisce un figurativo e lavorando molto con i volti, usandoli sempre in primo piano, sono subito andato sul mio stile sviluppando il volto del maresciallo D’Arminio in prospettive diverse, per dare un senso di replicabilità del personaggio. Persone come il maresciallo D’Arminio non hanno superpoteri, sono uomini in carne ed ossa che hanno scelto di stare dalla parte del giusto e del bene, anche noi possiamo farlo quotidianamente. Verso la destra, invece, l’immagine di quella donna con quella corona, è una rappresentazione dell’Italia. Ho, infatti, colorato la chioma con il tricolore e ho deciso di rivolgere il suo sguardo verso l’alto. Mi è sembrata l’espressione migliore per raffigurare qualcuno che aspetta e spera che arrivi qualcosa di bello. La struttura sarà interamente colorata di azzurro, è il colore della Polizia ed un colore che viene associato alla nazione. Il tutto viene unito dalla scia delle frecce tricolore che “esce” dal disegno e mette in comunicazione tutto quello che c’è, compresi i simboli.
Come pensi che la street art possa aiutare a veicolare il messaggio?
Dovesse essere scelta la mia opera, ho chiesto all’Amministrazione di far partecipare una classe allasua realizzazione. Coinvolgere in questi progetti una generazione che sta iniziando a conoscere quella che è la triste storia dell’eterno conflitto tra la malavita e lo Stato, può essere un modo per far arrivare meglio il messaggio. Ormai la street art è l’arte contemporanea e del futuro. Come dicono tantissimi critici “Tutto quello che vedete ora sui muri tra 50 anni lo troverete nei musei”. Sicuramente allinearsi a generazioni giovani e usare anche il loro linguaggio può attirare di più l’attenzione. Io dico sempre che bisogna essere figli del tempo che si vive e quindi non trascinare le nuove generazioni in vecchi sistemi di comunicazione, ma allinearsi a loro. E poi il “colorare i muri” trasmette un senso di appartenenza al luogo e di tutela del posto. “Colorare” un posto ha un potere incredibile, e poi io sono della filosofia che “l’arte salverà il mondo”.