Lo spettacolo dei mondiali in Qatar è eccellente, checché ne dicano i palati sopraffini del giornalismo sportivo ed i censori della deriva morale del calcio.
Quanto a questi ultimi, e certo, se vai a giocare i mondiali in Qatar lo sai già in anticipo che vai in un paese dove vige un regime razzista, omofobo, dispotico, dove il codice penale prevede la fustigazione e la pena capitale, comminabile per reati riconosciuti come tali anche nel mondo occidentale, quali l’omicidio, il furto, lo spionaggio, e per comportamenti da noi ritenuti non solo legittimi ma addirittura diritti imprescindibili della persona, quali l’omosessualità e l’ateismo. I censori etici, perciò, denunciano la vergogna della FIFA che, per sete di petrodollari, ha accettato di far svolgere la più importante manifestazione mondiale del football in Qatar, legittimandone così il regime. Non è una critica infondata, ha un suo nucleo di verità, ma è parziale. Anche sotto il rispetto dei diritti civili, vede solo un lato della medaglia.
Ma le vedono i censori etici le esuberanti tifose di ogni parte del mondo mostrare felici sugli spalti gli ombelichi e le gambe in un paese dove è d’obbligo la castità dell’abbigliamento? E non notano che tra queste tifose vi sono anche donne arabe, e probabilmente qatariote, che sfidano i divieti e si liberano con coraggio dei tabù? Sarebbe mai stata immaginabile una manifestazione di massa con le bandiere degli Stati Uniti d’America per le strade di Teheran, capitale di uno Stato non meno repressivo del Qatar, nonché, insieme alla Corea del Nord, il più ostile nei confronti degli USA che ci sia al mondo, manifestazione verificatasi subito dopo la sconfitta della nazionale iraniana a Doha?
È stato difficile accettare il divieto ai calciatori di indossare i bracciali arcobaleno dei diritti LGBTQ+, vero, ma ci sono stati indubbi riverberi della libertà nelle coscienze del mondo intero, ivi compresi i Paesi più refrattari ai diritti civili. Né si può pretendere che tutto il mondo sia una replica sic et simpliciter della nostra visione del mondo, che tutti accettino e facciano propri i nostri valori come condicio sine qua non per sviluppare relazioni amichevoli tra i popoli.
Il calcio non è solo soldi e opportunismo, è tante altre cose, anche espressione di una civiltà fondata sulla libertà e veicolo dei suoi valori. Ed è uno sport meraviglioso, coinvolgente, finanche elettrizzante in certi frangenti, non a caso seguito da miliardi di esseri umani. Quanto è bello lo spettacolo dei colorati tifosi provenienti da tutto il mondo, neri e gialli, bianchi ed olivastri, che si stanno incontrando a Doha sugli spalti gioiosi, a condividere la passione per le proprie maglie ed i propri beniamini. Che aria di pace circola su quei gradoni.
Il calcio sublima gli istinti primitivi selvaggi e sanguinari in competizione pacifica, aiuta anche la pace. Lo capì bene Bertrand Russel al termine della Seconda guerra mondiale:
“Chiunque di noi speri che, col tempo, sia possibile abolire la guerra, dovrebbe preoccuparsi seriamente del problema di soddisfare in modo innocuo quegli istinti che ereditiamo da lunghe generazioni. Bisogna insomma che il selvaggio che si nasconde in ognuno di noi trovi un qualche sfogo non incompatibile con la vita civile e con la felicità del suo prossimo, egualmente selvaggio […]. Ciò senza eliminare la lotta. Se due squadre di calcio rivali, sotto l’ispirazione dell’amor fraterno decidessero di collaborare nel porre il pallone prima dentro la rete di una squadra e poi dentro quella dell’altra, questo fatto non accrescerebbe la felicità di nessuno. La conflittualità, l’emulazione possono essere un incentivo utile. Senza di esse non ci sarebbe progresso e la vita sarebbe finanche noiosa. Ma se non si vuole che esse divengano spietate e dannose, bisogna che la penalità che dovrà pagare il perdente non sia il disastro, come in guerra, o la fame, come nella concorrenza economica non regolata, ma soltanto una “perdita di gloria”. Il calcio non sarebbe uno sport raccomandabile se le squadre battute venissero messe a morte o ridotte alla fame”.
Sotto il profilo tecnico a Doha stiamo vedendo un bel calcio. Con piacere abbiamo visto crescere la competitività del calcio africano, come di quello asiatico e finanche di quello mediorientale, con talenti emergenti di prim’ordine. Alla fine, le squadre europee e quelle sudamericane, Brasile e Argentina su tutte, con più antica tradizione calcistica e con più solide basi finanziarie si giocheranno la coppa, ma le altre, già per quello che hanno fatto vedere finora, non sono affatto le cenerentole della situazione. È in atto con tutta evidenza un livellamento del calcio mondiale verso l’alto.
Quanto al gioco di squadra si sono finora distinte per compattezza, organizzazione ed ordine tattico l’Inghilterra ed il Giappone, quanto a valore assoluto Brasile e Francia. Sono queste due, per muscoli e centimetri, per intelligenza tattica e talento tecnico dei singoli, le squadre candidate a giocarsi il titolo, pur se non si può dare nulla per certo, il calcio è pieno di sorprese. Se non ci fossero non emozionerebbe.
Per chiudere, qualche segnalazione di singoli talenti che finora in Qatar ci hanno rubato l’occhio, con l’esclusione ovviamente dei vari Messi, Ronaldo, Mbappè e degli altri campioni già noti al pubblico italiano.
Portieri: Noppert (Olanda), Epassy (Camerun), Livakovic (Croazia).
Difensori: Sabaly (Senegal), Estupinian (Ecuador), Ebasse (Camerun), Gavrdiol (Croazia).
Centrocampisti: Adams (USA), Musiala (Germania), Ito e Doan (Giappone).
Attaccanti: Gapko (Olanda), Bellingham (Inghilterra), Fullkrug (Germania), Martinelli (Brasile).