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Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda

by Piera De Prosperis
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Ermanno Rea. Einaudi, 1995

Nel 1995 Napoli è resa protagonista di Mistero napoletano, il romanzo con cui Ermanno Rea nell’anno successivo vince il premio Viareggio.

La narrazione si incentra sulla storia della giornalista dell’Unità Francesca Spada il cui inspiegabile e misterioso suicidio, avvenuto nel 1961, spinge l’amico Rea, circa quarant’anni dopo, ad una quête sui motivi che hanno indotto una donna brillante, intelligente ed indipendente ad una scelta così estrema. Ripercorrendo il destino tragico di Francesca, l’autore ripercorre in realtà la vicenda della città negli anni ’50-’60. Sono gli anni del sindaco Achille Lauro, l’armatore sorrentino che in un patto scellerato con gli Usa consegna il porto di Napoli alla Nato, privando la città dei suoi cantieri.

In Francesca Spada è adombrata la Napoli del tempo, che con altra guida politica e altri riferimenti culturali avrebbe potuto avere un destino ben diverso e salvarsi. Francesca è Napoli. Così come, nel film Napoli Velata di Ozpetek, il personaggio di Adriana (Giovanna Mezzogiorno) è la Napoli pagana, barocca e sacra di oggi, che si mostra e incanta.

Francesca Spada, nomen omen, è una giornalista che avrebbe potuto avere una brillante carriera professionale e politica, se solo l’atteggiamento maschilista e supponente dei compagni di lavoro e di partito non avesse creato intorno a lei un vuoto, isolandola e pugnalandola. Usando l’arma dei traditori. Pugnale vs spada.

La Napoli distrutta fisicamente e moralmente dalla guerra avrebbe bisogno di puntare tutto sulla dimensione produttiva del suo scalo marittimo ed invece, lentamente ma inesorabilmente, ne viene privata. Il progressivo spostamento delle navi di traffico civile verso altri scali mira a trasformare il nostro porto in una base militare: e le navi da guerra interessano soltanto alle gangs di affaristi e speculatori, tenutari di case da gioco e bordelli. Sullo scacchiere internazionale il PCI locale e nazionale fa la sua mossa del cavallo, arretrando in favore della DC e degli alleati americani. Assumendo quell’atteggiamento attendista che, con il suo silenzio assenso, consente che tra il 1948 e il 1951 chiudano 150 aziende industriali e che i lavoratori, persa l’occupazione e abbandonati al loro destino, diventino prede per le organizzazioni malavitose.

La lucida analisi di Rea si svolge in forma diaristica per una scelta di verità “documentaristica”: a partire dal diario di Francesca, consegnato all’autore dalla figlia Viola, nel testo si aggiungono in modo ordinato gli appunti dell’autore sugli incontri chiarificatori e di confronto che ha con gli amici del tempo. Rivedere a distanza di tanti anni e di tante esperienze fatte, “con il senno di poi”, intellettuali e politici del calibro ad esempio di Valenzi, Masullo e Marotta, consente di ricostruire con lucidità e commozione, ma anche con forte autocritica generazionale, l’itinerario attraverso cui Francesca/Napoli arriva alla tragica fine.

La tecnica narrativa adottata consente una lettura scorrevole ed è capace di riproporre, come in un’investigazione poliziesca, i momenti salienti del percorso biografico dell’amica e della città: rifiutando la forma del romanzo, l’autore realizza un docu-testo di grande coinvolgimento emotivo. Raccontando di avvenimenti accaduti circa quaranta anni prima, l’uso sapiente dei piani narrativi presente/passato, che si mescolano di continuo, consente di muovere una critica alla politica dell’epoca ma anche a quella contemporanea, che proprio in quegli anni ha le sue radici.

di Piera De Prosperis