La Milano da bere stava vivendo gli ultimi luccichii, prima che all’oro pallido dello Champagne si sostituisse il nero antico delle toghe, quando la città contava 1,4 milioni di persone. Oggi, di bollicine ce ne sono gran poche e Di Pietro guarda con gli occhi lucidi Favino che interpreta Craxi al Cinema. Ma la città ha di nuovo un milione e quattrocentomila residenti. Trent’anni tondi e siamo qui a domandarci se la città reggerà. Ma la domanda ha davvero senso? Ne ha, ne ha. Vediamo perché.
La sindrome della mongolfiera
Milano, negli anni ‘90, era il motore di un treno lungo, complesso, con molte contraddizioni, ma funzionante. Adesso siamo su una mongolfiera: un piccolo fuoco, quel che resta della grande fornace del boom economico, riscalda l’aria che gonfia un grande pallone aerostatico. I cui limiti di sviluppo sono dati dalla tela di cui è composta. Dall’acciaio del treno siamo passati ad un tessuto certo resistente, ma comunque sempre tessuto. Certo, stiamo volando. E certo, la gente accorre per fare un giro. Ma i posti sono limitati. Ed il rischio di schiantarsi è del tutto concreto. A partire dalla crisi abitativa.
Crisi immobiliare.
Chiariamoci, il fenomeno esisteva anche negli anni ‘80. Quindi, quando eravamo quanti siamo ora la situazione era la medesima: la borghesia veniva cacciata dalla cerchia dei navigli, in cerca di un nuovo nido in cui perpetrare il rito Ambrosiano. All’epoca, furono costruite con i fondi pubblici queste case, divenute poi casermoni popolari. Eterogenesi dei fini, certamente. Ma anche ammonimenti. Chi negli anni ‘80 era considerato borghese, quarant’anni dopo è un proletario. Solo che lo spazio è finito, ma servono comunque sempre più case. Che stavolta costruiranno i privati. Ma se siamo tornati a quei livelli, non certo superandoli, perché c’è così tanta fame di mattoni?
Niente figli, siamo Milanesi.
Perché questa non è una città, è un accampamento. Un villaggio del West, senza radici. Quindi senza famiglie. Quindi inefficiente sul piano abitativo. L’aumento della facilità del trasporto e la sfiducia nel futuro hanno fatto sì che a Milano si venga a costruire il proprio avvenire, non quello della specie. Il capoluogo lombardo rischia di passare alla storia come il più efficace contraccettivo della storia. Certo, avere figli qui costa. È indubbio. E andrebbero contati anche i comuni dell’hinterland. Ma il segnale è chiaro: a Milano si lavora e si produce, non si perde tempo. Nemmeno a perpetuare la specie.
Una città di servizi per tutti, meno che per il ceto medio.
Un altro elemento di assoluto interesse è, per dirla in modo provinciale con un anglismo al posto di un perfettamente funzionale termine italiano (e quindi alla milanese), il pricing della mobilità. Che riflette l’idea alla base dei servizi. Il biglietto del tram in dieci anni è raddoppiato. Dal 2017 i parcheggi cittadini hanno superato, per costi, quelli romani. L’introduzione di due Ztl a pagamento è diventata un’altra forma di costo della mobilità. Dal 2011 persino i marciapiedi sono diventati extralarge. Probabilmente per consentire maggiore comodità ai cani quando fanno la sgambata quotidiana, visto che non ci sono altre motivazioni reali. Se non restringere la carreggiata e sottrarre parcheggi, con l’obiettivo di lasciare a piedi la classe media. Che i servizi li paga, comunque, anche se ambirebbe a non usarli. Invece no, contribuisce con le tasse e viene forzata dalla mancanza di alternative a comprare il biglietto. E se prova a risparmiare sul carburante con il diesel, le impediscono di circolare. Il ricco ne prende atto, cambia macchina e torna a viaggiare tranquillo. Il borghese medio paga due volte e tace. Questo limite di mobilità, prima o poi, presenterà il conto.
In conclusione.
Milano attrae le folle, ma per restare nel cielo deve sottrarre aria attorno a sé. Questo è il sunto, non aumenta la crescita per tutti. È una fuga sulla vetta della montagna per salvarsi dal diluvio attorno. Con sempre meno roccia sicura per un numero sempre più alto di persone. In cui, peraltro, va contata la cittadella muta del futuro, i centomila studenti che qui vivono, ma non contano come residenti. La città, insomma, è un mix instabile ma di successo. Il bucaneve che dà vita alla landa ghiacciata. Che, però, non scalda e non avvicina di un solo giorno la Primavera. Per la quale, temo, dovremo attendere giorni migliori.