Tutti i sondaggi sono concordi, l’esito delle elezioni di midterm di martedì prossimo negli Stati Uniti segnerà una sconfitta dei democratici ed una vittoria dei repubblicani. Le divergenze tra gli istituti di ricerca si limitano solo alle dimensioni dello scarto.
È stato sempre così nella storia elettorale degli USA, a metà mandato chi occupa la Casa Bianca soccombe nelle urne, uniche eccezioni nel ‘98 con Bill Clinton presidente e nel 2002 con George W. Bush, ma in questo caso le elezioni si tennero ad un anno dall’attacco alle due torri, evento più che eccezionale. Eppure solo un mese fa gli stessi sondaggisti davano in vantaggio i democratici nonostante occupassero la Casa Bianca con Biden. Cos’è cambiato in quattro settimane o poco più? L’agenda setting.
Un mese fa gli elettori avevano in testa le stragi nelle scuole ed in altri luoghi pubblici da parte di squilibrati armati e la conseguente necessità di regolamentare il diritto di acquistare e possedere liberamente armi da fuoco sancito dal secondo emendamento della Costituzione, l’aborto, le minacce per la democrazia costituite da Trump e dai suoi accoliti, spesso organizzati in veri e propri gruppi paramilitari. Poi, una penetrante, efficace campagna mediatica e social – l’impegno finanziario dei ‘miliardari’ ha determinato la più alta spesa per il supporto ai candidati della storia delle midterm election, circa 17 miliardi di dollari! – ha determinato un radicale spostamento delle preoccupazioni degli elettori, che ora sono l’inflazione, il prezzo dei carburanti, la crisi economica e l’immigrazione.
Nei giorni scorsi siamo stati a New York City, che non è di per sé rappresentativa dell’intera America, ed abbiamo chiesto un po’ in giro quali fossero le preoccupazioni degli elettori; così, giusto per toccare con mano l’attendibilità dei sondaggi, sia pure in modo decisamente approssimativo. Il primo dato che è emerso è il sostanziale disinteresse per l’appuntamento elettorale da parte della gente comune. Abbiamo avuto l’impressione come di due Americhe, la prima costituita dalla maggioranza dei cittadini, che lavorano freneticamente, tornano a casa spesso stremati e riposano, oppure vanno per feste – i giorni in cui siamo stati a NYC sono stati quelli di Halloween – ristoranti, cinema e teatri e del resto non gliene può fregar de meno. L’altra America, molto più ridotta per consistenza numerica, che si interessa di politica, segue le tv ed i media in genere, in qualche modo si sente parte della classe dirigente del Paese e partecipa alla competizione per la sua egemonia. D’altra parte la storia elettorale delle midterm negli USA è eloquente, in esse ha quasi sempre votato un 20% circa di elettori in meno che alle presidenziali e nelle ultime tornate il dato dell’affluenza ha raramente superato il 40%.
Limitandoci dunque ai pochi che ci sono parsi coinvolti nella contesa elettorale, abbiamo chiesto quali sono a loro avviso le priorità sulle quali decideranno il proprio voto gli elettori. Eccone le risultanze in ordine di priorità: 1. il costo dei carburanti; 2. l’inflazione; 3. l’immigrazione; 4. la protezione del sistema industriale USA dalla concorrenza, specie cinese ma anche europea; 5. l’aborto; 6. i diritti LGBTQ+; 7. la perdita dei ‘privilegi’ della white working class a causa dell’avanzamento socio-economico di afroamericani, ispanici ed asiatici; 8. le minacce alla democrazia portate da cospirazionisti e negazionisti della verità del voto che portato Biden alla Casa Bianca; 9. le spese a sostegno dell’Ucraina; 10 l’uso incontrollato delle armi da parte di privati cittadini. Distante, per lo meno a New York City, ho trovato una qualche preoccupazione per il sistema sanitario.
Tre di questi punti, segnatamente il 3, il 4 e il 7 vedono posizionati in notevole vantaggio i repubblicani; i punti 5, 6, 8 e 10 vedono in vantaggio i democratici; i restanti tre punti, cioè l’1 e il 2, il costo dei carburanti e l’inflazione, ed il 9, l’Ucraina, grosso modo non rilevano una netta supremazia dei conservatori, ma segnalano comunque un disagio dei cittadini, il che non può che penalizzare chi oggi governa alla Casa Bianca. Insomma, i temi che stanno più a cuore degli elettori sono a vantaggio dei repubblicani, quelli sui quali gli stessi elettori sembrano meno sensibili sono a vantaggio dei democratici. Come si può vedere, non c’è partita, la vittoria dell’elefantino è nell’ordine delle cose.
Proprio in questi giorni i democratici hanno moltiplicato i loro sforzi, con Obama in prima fila a battere gli Stati in bilico, ed ora confidano molto sul week end per tentare un recupero su cui si dicono fiduciosi. Bah, intanto 33 milioni di elettori hanno già espresso il proprio voto per posta e per essi non ci sarà recupero che tenga. E poi, Joe Biden ha un indice di gradimento del 40% circa e mai – dico mai – nella storia elettorale delle midterm election le urne hanno premiato lo schieramento che occupava la Casa Bianca con un leader gradito da meno del 50% dei cittadini.
Però attenzione, gli Americani votano non solo su base ideologica o politica. Da sempre hanno inciso sugli orientamenti degli elettori l’insediamento territoriale e le appartenenze etniche; da qualche anno incide molto anche l’appartenenza di genere. Da questo punto di vista i dem potrebbero effettivamente recuperare, se solo riuscissero a stanare dall’astensione ed a portare al voto un buon numero di neri ed ispanici, di donne e giovani, e di residenti negli States più densamente popolati e dinamici.
Resta comunque la previsione, che per me è certezza, della vittoria dei repubblicani, che potrebbero avere la maggioranza in entrambe le Camere, come raramente è accaduto in passato. Il dato non va letto univocamente. I repubblicani saranno maggioritari, ok, ma quali repubblicani? Quelli di Trump o quelli moderati? Le due anime dell’elefantino rosso non si amano e non si stimano. Le primarie per la scelta dei candidati governatori repubblicani nei vari Stati – contestualmente al voto per il Congresso, si voterà anche per 39 governatori territoriali – hanno visto furibondi scontri tra trumpisti e moderati. In alcuni casi, ad es. in Pennsylvania, Georgia, Nevada, ed Arizona, ciò ha determinato delle scelte di candidati repubblicani al Senato con debole appeal secondo la stampa politica locale. Insomma, anche stati tradizionalmente non contendibili potrebbero riservare sorprese.
Si voterà per il Congresso e per i governi degli States, ma sullo sfondo si vede già la scelta del candidato per la Presidenza della Federazione nel 2024, su cui Donald Trump sta mettendo una pesante ipoteca. Ipoteca non gradita ai moderati, che temono un travaso di voti centristi verso i democratici. Si spiega così l’insistenza di questi giorni di Biden e di Obama sui rischi per la democrazia e sulla minaccia Trump.