Il giorno che l’avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo.
E’ l’incipit di Cronaca di una morte annunciata, la novella di Gabriel Garcia Marquez che è diventata, nel titolo, quasi un aforisma sulla morte. Santiago Nasar, nella vicenda, non è al corrente di essere così vicino al passo fatale mentre tutti in paese, per una serie di equivoci e incastri, lo sanno e non aspettano altro. Così nella finzione. Nella odierna realtà, invece, è avvenuto l’esatto contrario. Michela Murgia era perfettamente consapevole della propria condizione e sapeva quali situazioni affrontare man mano che la malattia inesorabilmente avanzava. Noi, invece, lettori e fans della scrittrice abbiamo voluto mettere la testa sotto la sabbia, sperare in tempi più lunghi, in terapie miracolose che potessero risolvere un cancro così avanzato. Da qui la sorpresa. Eppure la Murgia ci aveva preparato, ci aveva illustrato a che punto fosse, ha affrontato il percorso di terapia con quella serenità che solo la consapevolezza consente per fare il grande passo verso l’ignoto. Di tutto quello che si è detto di lei, del coro unanime di rimpianto, quello che resta più profondamente nella nostra coscienza è proprio il suo equilibrio nel suo confrontarsi con la morte. Mentre noi tendiamo a proteggerci dal solo pensiero di distaccarci da persone e cose, rifiutando spesso la realtà delle cose e delle situazioni, lei ha fatto il contrario: ha dimostrato, come dice Saviano, che l’ombra è data dalla luce, che conforto non vuol dire edulcorare il dolore… Vivere pubblicamente la malattia per non sentirsi soli e non far sentire soli i familiari, assumendo su di sé tutto il dolore degli ultimi dolorosissimi giorni.
Ma soprattutto la sua più forte eredità sta nell’averci proposto con un linguaggio chiaro e forte la sua riflessione sulla malattia e sulla morte. Le parole sono pietre. E davvero pietre miliari sono riflessioni come: non sentirsi una che ha perso una guerra ma una persona alla fine del suo percorso che ritiene ricco ed appagante. E’ la messa in atto di quanto Seneca diceva. Il concetto di inevitabilità della morte è presente nella “Epistola 99”: “Può uno lagnarsi di un avvenimento, se sapeva che doveva avvenire? Se poi non sapeva che l’uomo è destinato a morire, ha voluto ingannare se stesso. Chi può dolersi di un fatto, quando sa che è inevitabile?”. Cattiva è la consuetudine di piangere e disperarsi per la morte di un congiunto. Questo “dolore oltre ad essere inutile ha questo vizio: è una manifestazione di ingratitudine”, in quanto ci si dovrebbe rallegrare di avere avuto la persona scomparsa, piuttosto che essere tristi per averla perduta. Lamentarsi della morte di un uomo significa lamentarsi che quello sia stato uomo.
La sua vita, Michela Murgia, l’ha vissuta a pieno, non la piangiamo dunque ma siamo fieri di averla letta, apprezzata, stimata. E’ stata una donna.