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Metti una Fase 2 al Parco Lambro

by Luca Rampazzo
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Milano, con estrema prudenza, un po’ di paura e tanta, tanta ansia per il futuro oggi riapre. In parte. Senza esagerare. Ma riapre. Il traffico è ripreso. Il fiume delle auto in entrata, per la prima mattina da due mesi, si è sentito fin dall’alba. Ad occhio è un terzo del solito, ma c’è. Eppur si muove, per citare Brecht. La popolazione in strada è sensibilmente di più, le mascherine sono molte, ma non sono per tutti. Le coppie sono decisamente più del solito. Il clima è piacevole, soleggiato, ma non caldo. Una primavera senza slanci, che però spande una luce ancora vivida sulla città. Ancora per poco, già le montagne cominciano ad annegare nel vaporoso mare di smog che ricomincia a formarsi su Milano.

E che, forse, un po’ ci era mancato. In ogni caso due erano le novità principali del momento: riapre la manifattura e riaprono i parchi. Siccome di industrie visitabili non ce ne sono, ci siamo accontentati di andare per voi nel terzo parco cittadino. Il Parco Lambro. Assai meno vasto dei Parchi Nord e Sud, meno monumentale del Sempione il parco Lambro è un parco schiettamente proletario. Qui grigliano i Latinoamericani in feste che durano intere notti. Qui si è tenuto l’ultimo festival della contro cultura Milanese, nel 1976. Insomma, non il solito parco fighetto con le panchine per signore annoiate col chihuahua o anziani che ricordano anni migliori. Un bel posto per ribelli, runner, famiglie felici. Almeno prima, quando il virus non riscriveva la geografia delle città e degli affetti.

Stamattina, va detto, il parco era il regno di chi resisteva, di chi correva (letteralmente) per riprendersi la propria normalità. Premessa: la Regione Lombardia ha consentito a chi pratica sport di non portare la mascherina durante la sessione. Basta averla con sé e rimetterla alla fine. Quindi il numero di visi scoperti era ampiamente giustificato. Non c’era alcun assembramento. Ho visto pochi podisti incrociarsi nei numerosi percorsi tra l’erba. Direi di aver contato una cinquantina di persone in un’ora di ispezione. Insomma, nessuna folla nonostante fosse il primo giorno di apertura. Numerosi anche i bambini, molti dei quali dotati di regolare dispositivo di protezione.

Più vivace il movimento nei pressi della metropolitana di Crescenzago. Siamo ben lontani dai flussi pre Covid, ma non possiamo dire di essere nemmeno nelle fasi più buie della pandemia. In generale questa non è ancora piena fase 2. Ma è già qualcosa di ontologicamente diverso dalla fase 1. Una cosa manca, e si sente: l’ottimismo. A nessuno pare davvero reale la situazione. La gente è circospetta. Si guarda attorno spesso, stranita. L’idea è che ci muoviamo in un tempo irreale, ricevuto in prestito ed ogni errore, nostro o altrui, colposo o doloso, ci possa portare via questa strana primavera.

Il panificio ha (finalmente) riaperto il bar in cui tanto aveva investito prima dell’epidemia. È solo per asporto. L’idea non ancora molto chiara ai clienti, ma a tutti viene spiegata nei dettagli. Una frase però, è stata significativa: “Oggi è una bella giornata, finché dura”. Sì, si mangia. Sì, si riapre. Ma non è una conquista stabile o definitiva. Non è, per usare un altro linguaggio, un nostro diritto fondamentale. È una graziosa concessione del monarca, che ha tutto il diritto di riprendersela. Di toglierci il sole, il vento, il cielo e la libertà. E se succederà sarà solo colpa nostra. Non parlo di Conte, è una sensazione generale ed impersonale. Così si sta attenti, ma dopo un po’, quando ci si accorge dei trasgressori impuniti, l’attenzione si trasforma in apatia. Cosa possiamo fare noi contro il nemico invisibile? E non parlo del virus, parlo dell’irresponsabilità del prossimo.

Rientrando, la sensazione si rafforza. Le mascherine sono sempre più basse. Ovviamente, sia chiaro, non si generalizza. Ma l’idea è che la Fase 1 sia finita non tanto sulla basa di ponderate riflessioni scientifiche, quanto piuttosto per la spinta di una maggioranza silenziosa che ha finito pazienza e fiducia nelle istituzioni. Curiosamente, esiste un’altra parte (grande altrettanto? Non lo so quantificare), che per i medesimi motivi è invece giunta a conclusioni opposte e sta chiusa in casa, senza nemmeno mettere il naso fuori di casa. Stranezze di un paese sull’orlo della Fase 2. Che corre verso il futuro, mantenendone intatto il timore.