La Storia di Elsa Morante nella fiction di Raiuno. Protagonista Ida Ramundo, una superlativa Jasmine Trinca, maestra ebrea alle prese con il dramma della Seconda guerra mondiale e del dopoguerra. Sulla sua sottile eppure dura pelle vive tutti gli orrori della guerra: stupri, massacri di bambini, bombardamenti a tappeto, violenze di ogni genere. Per giunta è ebrea, anche se per parte di madre, come dice tentando di difendersi dalla occhiuta polizia fascista. Dunque nella protagonista, vedova, madre di due figli di padre diverso, sola, affamata, senza casa, si sommano tutte le disgrazie che la popolazione civile viveva in quegli anni. La vita del ghetto di Roma, che Ida vive di sbieco fino al rastrellamento del 16 ottobre 1943, è una vita apparentemente serena, anche se indizi della sovrastante tragedia ci sono tutti. Ida che vede il vagone piombato in partenza, che raccoglie gli ultimi appelli dei condannati, che vede la signora De Segni chiedere la carità di salire anche lei accanto ai suoi cari, vale, per la nostra memoria, quanto le immagini cruente e indescrivibili dei campi di sterminio.
Ida sopravviverà alla Shoah ma non potrà mai dimenticare l’accaduto. Non si sfugge al ricordo, come dimostra l’esperienza umana di Primo Levi. Chi ha letto il libro o visto lo sceneggiato sa che altri dolori fiaccheranno definitivamente l’animo di Ida, madre attenta e sollecita ma travolta dal destino infausto dei suoi figli. Essere donna, ebrea, povera in una Roma che pure mostrava qualche indizio di pietà per Ida, dovevano essere un insieme devastante che solo la capacità di adattamento e l’istinto di protezione per la prole potevano consentire se non di annullare, almeno di ridimensionare nel loro effetto distruttivo.
Noi donne del 2024 come avremmo affrontato una situazione del genere? Ida è l’istinto materno per definizione, quello che vede nella guerra il male più grande che possa esistere, un assassinio interminabile (Morante). Non a caso il libro inizia con la citazione di un sopravvissuto di Hiroshima: Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte.
Giorno della Memoria. Eppure, a guardarsi intorno, sembra che l’abbiamo persa tutti. Che la Tragedia non ci abbia insegnato a riconoscerne i segni e ad impedire possa ripetersi. Ovunque.