Un testo non facile quello dell’Etica Nicomachea di Aristotele, assegnato come seconda prova nei licei classici. L’opera fu scritta per una circolazione interna alla Scuola, quindi non era destinata alla pubblicazione. Questo significa che il brano somministrato non è linguisticamente rigoroso e articolato ma presenta ellissi verbali, cambiamenti di soggetto, una evidente inconcinnitas. Un brano con una sintassi frammentaria, non facile da rendere.
Il contenuto, però, è di grande attualità per l’importanza che assume in esso l’amicizia, cosa necessarissima per la vita, infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici. E non è importante la quantità dei beni che uno possiede, perché l’amicizia è molto più preziosa: è un rifugio, un sostegno, un aiuto.
Molti studenti, nel corso della prova, sono stati aiutati dai docenti, altri hanno potuto, in qualche modo a me sconosciuto, fare ricorso alla rete… Alla luce di ciò a cosa serve ancora tradurre? Ogni testo è rintracciabile su Internet, non solo Aristotele, com’è ovvio, ma anche frasi di libri di testo che si adottano nelle esercitazioni a casa.
Il filologo Maurizio Bettini su Repubblica in un articolo, “Quelle inutili dannose traduzioni greche e latine”, ha auspicato un cambiamento profondo nella seconda prova del Liceo Classico: non più la nuda versione, ma un testo breve con a corredo riassunto, commento, contestualizzazione, test a domande chiuse e aperte. Una sorta di analisi del testo, sull’esempio di ciò che si fa nella prima prova di Italiano.
E’ una resa alle difficoltà della traduzione? I ragazzi, in effetti, non riescono ad applicare le norme grammaticali nella traduzione. Sanno la regola ma non la riconoscono quindi non sanno come rendere il testo. L’arte combinatoria della traduzione è sempre più lontana dai meccanismi logici delle nuove generazioni che operano per nodi concettuali che privilegiano l’immagine alla elaborazione. E’ un’altra forma di pensiero, non migliore né peggiore rispetto a quella delle vecchie generazioni che sudavano sul Rocci. Semplicemente altra.
Che fare? Dichiararsi sconfitti ed accantonare la traduzione, arrivando inevitabilmente a perdere questa competenza o cercare di far capire ai ragazzi che ci vuole tempo e pazienza per costruire una capacità di questo tipo? Le lingue morte potenziano le capacità di collegamento e di inferenza, non hanno l’utilità pratica dell’inglese, ma consentono di combinare gli elementi in proprio possesso per scoprire, in una entusiasmante caccia al tesoro, il senso di ciò che si sta studiando. Altrimenti dovremmo dire che non è utile saper fare i calcoli perché c’è la calcolatrice o studiare la storia perché c’è Wikipedia. Insisto sull’elogio della lentezza: ci vuole tempo, perseveranza e voglia di mettersi in gioco, recuperando quelle capacità logiche ormai in disuso ma che sono sempre più apprezzate anche nel mondo del lavoro.
Giuseppe Bruno, uomo di impresa e manager di Info Jobs, un portale specializzato nella ricerca di lavoro, e il linguista Guido Milanese, professore all’Università Cattolica, sostengono che: Conoscere il latino (quindi anche il greco) è un elemento spendibile in un buon curriculum professionale. Ci sono imprese, in particolare all’estero, che lo tengono in considerazione.
Forse questa potrebbe essere la via per far valere l’utilità delle lingue morte: la loro funzione è indiretta, si evidenzia sulla lunga distanza, solo così, forse, i ragazzi potrebbero evitare di ricorrere ad Internet o al pietoso intervento dei docenti in soccorso.
Andrea Marcolongo nel suo libro La lingua geniale dice: la prima reazione davanti a un testo in greco antico spazia dalla paralisi al terrore puro. Ho scelto nove ragioni per amare e per raccontare ciò che il greco sa dire in modo unico, speciale, diverso da ogni altra lingua, e sì, per spazzar via ogni paura trasformandola forse in passione.
E’ quello che dovrebbero provare a fare gli insegnanti di greco, una categoria purtroppo in via di estinzione come le sezioni tradizionali del liceo classico: far appassionare, far comprendere che questi studi, lentamente ma inesorabilmente consentono di arrivare al fondo di noi, e da lì fanno emergere energie di conoscenza e di creatività .
Forse la scelta di quel testo di Aristotele per la seconda prova dell’Esame di Stato, non è stata tra le più felici degli ultimi anni, ma se serve a porre la questione della traduzione, contribuendo al dibattito sulla sua validità, ben venga anche l’Etica Nicomachea.
di Piera De Prosperis