<<Sarai, la moglie di Abram, non gli aveva dato figli, ma aveva una schiava egiziana di nome Agar. Sarai disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di partorire; unisciti alla mia schiava; forse da lei potrò avere figli”. E Abram ascoltò la voce di Sarai>> (Gn, 16, 1-4)
Abram si unì a lei che restò incinta. Da Agar ed Abram nacque Ismaele. Più avanti l’autore della Genesi ci dice di Rachele e Giacobbe.
Com’era già successo ad Abramo, suo nonno, Giacobbe aveva preso per moglie una donna sterile, Rachele. Perciò il padre di Rachele, Labano, con un tranello condusse nel talamo di Giacobbe l’altra sua figlia, Lia. Giacobbe quindi si ‘accostò’ – così il pudico traduttore rende il termine che forse sarebbe stato meglio traslare con ‘accoppiò’ – a Lia, sorella di Rachele, che partorì quattro figli.
<<Allora Rachele diventò gelosa della sorella e disse a Giacobbe: “Dammi dei figli, se no muoio!” Giacobbe si irritò contro Rachele e disse: “Sono forse io al posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del ventre?” Allora ella disse: “Ecco la mia serva Bila; accostati a lei, così ch’essa partorisca sulle mie ginocchia e anch’io abbia una figliolanza per mezzo di lei” (Gn, 30, 1-5).
Giacobbe si accostò anche a Bila, che gli diede un figlio, Neftali. Non basta. Lia a quel punto, vedendo trascurata se stessa ed i suoi figli e credendo di non essere più fertile, fece accostare Giacobbe alla sua schiava Zilpa, e questa diede a Giacobbe altri due figli, Gad e Aser. Ma Lia era ancora fertile e partorì ancora altri figli a Giacobbe, alla fine saranno otto i figli di Giacobbe nati da Lia. Poi il Signore graziò Rachele e le concesse di poter generare, nacque così Giuseppe.
Vicende analoghe si ripetono più volte nel racconto biblico. In altri contesti e con altri protagonisti, ma con le stesse dinamiche.
La maternità surrogata, anche quella ‘retribuita’, esiste da sempre nella storia degli uomini, ed il libro sacro ci dice che essa non è di per sé condannata dal Signore. La condizione però perché tale pratica non fosse considerata un peccato – che nella legislazione ebraica era sinonimo di reato – era che la donna che ‘prestava l’utero’ venisse offerta al maschio dalla propria moglie, di cui fosse stata schiava o sorella. Il maschio, per parte sua, poteva ‘accostarsi’ senza commettere reato-peccato alla vedova di un proprio fratello, o ad una sua cognata, previo consenso di suo fratello, se in vita, qualora questi fosse stato infecondo. In casi diversi l’accostamento di un uomo ad una donna diversa da una sua moglie – salvo che per le prostitute – era considerato adulterio e punito con la lapidazione della donna o di entrambi gli adulteri.
In fondo la maternità surrogata, o GPA (Gestazione Per Altri), di cui si parla in questi nostri giorni non si differenzia da quella raccontata nella Bibbia che per le provette, i semi congelati ed altre pratiche supportate dalla scienza, ma la vicenda è pur sempre quella: una donna – per costrizione, o dietro retribuzione, o per generoso altruismo – si lascia inseminare e porta avanti la gravidanza sapendo che il bambino o la bambina che nascerà sarà riconosciuto legalmente da persone diverse da lei. Perché dunque tanto scandalo? perché tante legislazioni del mondo, compresa la nostra, la considerano un reato? e la Chiesa un peccato?
In verità la maternità surrogata non è considerata un reato in molti Paesi, alcuni anche di peso rilevante, come la Russia, il Canada o alcuni Stati degli USA. In Italia è invece un reato punibile con condanna fino a due anni e con pena pecuniaria da 600mila a un milione di euro (Legge 40/04, art. 12, c.6). Comprensibile che molti decidano di recarsi all’estero per farvi ricorso. Il proposito espresso nei giorni scorsi da autorevoli esponenti del governo e del parlamento italiano, di voler mettere fine a tale pratica equiparando nella nostra legislazione la maternità surrogata ai ‘reati universali’ è di molto difficile attuazione. Ma, al di là della sua praticabilità, è accettabile sotto il profilo dei diritti civili tale proposito? e poi, perché alcune legislazioni considerano la maternità surrogata un reato e la puniscono?
Torniamo alla Bibbia. Le donne che prestavano il proprio utero erano o schiave, o sorelle nubili delle mogli dell’inseminatore. Le stesse mogli, per parte loro, erano ‘proprietà’ dei mariti. Il settimo comandamento recita: <<Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo (Es, 20, 17)>>: la moglie era un bene patrimoniale del marito. La sua schiava, ed anche la sua sorella, non potevano sottrarsi a lasciarsi ‘accostare’ dal marito-padrone.
Non c’è perciò da scervellarsi più di tanto per comprendere come e perché, sotto la spinta dei movimenti femministi, la maternità surrogata sia additata oggi come una pratica umiliante della dignità delle donne. Quelle che oggi ‘fittano’ il proprio utero ad un committente magari non sono più le schiave o le sorelle di un tempo, come nella Bibbia, ma sono costrette dalla povertà ad accettare di portare nel proprio grembo per tutta la gestazione un bambino o una bambina che sanno già che non sarà mai loro figlio o figlia legale.
Recentemente però è subentrato un nuovo dato. Coppie omosessuali, o semplicemente dei single, ‘fittano’ all’estero degli uteri per ottenerne a fine gestazione il ‘prodotto’, sia che la donna che lo abbia partorito sia stata inseminata dal liquido donato dal committente, sia che il gamete sia stato acquistato in una delle banche di semi presenti sul mercato. Una volta nato il bimbo, i committenti lo portano con sé in Italia e chiedono al Comune di loro residenza di registrarlo come proprio figlio.
La nostra legislazione è del tutto impreparata ad affrontare questa problematica, quindi l’attuale governo, considerando che il bimbo è frutto della commistione di un reato, sta vietando ai Sindaci di assentire alla registrazione di questi bambini alle anagrafi come appartenenti ad una famiglia omosessuale o unigenitoriale. Restano però in ballo i bambini che intanto sono venuti al mondo e non sono stati certo loro a scegliere di venirci tramite la GPA. Il problema c’è e va affrontato tenendo conto delle sue molteplici sfaccettature. E senza trascurare il cinico sfruttamento di questa domanda sociale da parte di gang criminali che di fatto schiavizzano alcune donne e ne mettono gli uteri sul mercato.
Si è intanto aperta una ferita non da poco nel campo dei movimenti per i diritti civili. Non erano state le donne impegnate sul fronte del femminismo a richiedere la condanna universale della maternità surrogata (vedasi l’Assise di Parigi per l’abolizione universale della maternità surrogata del 2 febbraio 2016)? E non sono oggi i movimenti LGBTQ+ a chiederne la depenalizzazione? Qual è prevalente tra: 1) il diritto di una donna di non essere trattata come una fattrice di esseri umani, 2) quello di un bimbo di essere riconosciuto come membro di un nucleo familiare che se ne prenda cura, 3) quello di una coppia gay ovvero di un single che desidera un figlio e 4) quello di una donna, non ricattabile a causa della sua miseria, che decida in maniera libera, autonoma e volontaria, di ospitare nel proprio utero un embrione fino alla gravidanza previo accordo bonario o oneroso con un committente?