È singolare il tifo a sinistra per la direttiva Bolkestein sugli arenili. Disinformato e demagogico per lo più. La direttiva Ue non prevede infatti più diritti per i bagnanti. Ma meno. Poiché è liberista e impone di mettere a bando gli arenili fin qui in concessione. Con spada di Damocle della procedura di infrazione. Nulla muta sul diritto di stazionare. Sulla disciplina dei prezzi. Sull’estensione delle spiagge libere, di cui manca un catasto attendibile. Il 33%, dice la Capitaneria. La metà del 33, dicono altre fonti istituzionali, perché poi conta la superficie balneabile. Le concessioni sono di fatto scadute il 31 dicembre 2023 e ora con proroga vanno al 2024. Nel frattempo, le spiagge devono andare a bando. Molte regioni, come il Veneto e la Toscana, hanno già iniziato a farlo e più della metà delle vecchie concessioni sono andate ai vecchi gestori. Solo un antipasto di ciò che avverrà. Punteggi premiali per gestori, indennizzi molto alti, nuove imprese non familiari assaliranno il demanio cercando di spaccare il fronte delle 12mila imprese con 60mila addetti e indotto locale. Ciò comporterà’ in ogni caso aumento canoni oggi bassi. E maggior privatismo su arenili. Con la destra che metterà a bando altri pezzi di demanio e dunque meno spiagge libere, per arginare le regole Ue e per non toccare troppo gli equilibri attuali.
Capito la trappola? Zero sui beni comuni e relativi diritti. Che dovrebbe fare la sinistra? E in generale l’Italia? Tre cose, invece di tifare per i nuovi privati o di proteggerli con proroghe o trucchi. Eccole. Battersi per quote più ampie di spiaggia libera. La legge stabilisce il 40% nei vari comuni. Siamo appena al 33! Basterebbe cominciare ad applicare la legge del 2022! O ampliarla. Liberando la costa balneabile. Sottraendola ai bandi. E attrezzare le libere abbandonate, con servizi e licenze di lettini, docce e ombrelloni nonché parcheggi e navette. Garantire accessi, passaggi e stazionamenti ad almeno 10 metri da battigia a numero regolato a seconda dei casi e degli spazi. Abbattere barriere invasive. Infine, battersi per i dipendenti esposti ai ricatti dei nuovi gestori che inevitabilmente per rifarsi dai bandi comprimeranno il costo del lavoro oltre che alzare i prezzi. Poi, controlli fiscali a cassa automatica: su ombrelloni aperti. Importante sarebbe anche una disciplina antitrust che impedisca un nuovo sacco degli arenili a vantaggio di catene di alberghi e società in franchising. E infine promuovere il terzo settore e piccola impresa solidale, a basso costo e rispettosa dei beni comuni. Concetto che manca in tutta questa discussione.
Insomma, ci vorrebbe un patto con il ceto medio balneare produttivo e la sua platea di lavoratori, e un investimento nei beni comuni e civici. Evitando di favorire la rivolta populista di un tessuto produttivo che, come in Romagna e altrove, ha inventato un modello di turismo balneare accessibile e familiare per gli italiani e gli europei. Molto apprezzato e di successo. Il resto ci pare demagogia subalterna al liberismo mascherata da ambientalismo radicale. E i Comuni devono avere un peso decisivo nel regolare i dettagli di contesto. Senza lasciarsi schiacciare da nuove e ben più potenti lobby di quelle degli attuali balneari, lobby che muteranno abitudini, stili di vita e paesaggio. A carico nostro.